caso Navalny
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La morte di Alexei Navalny ha sconvolto anche Daria Kryukova, studentessa russa nel campus Alma Mater di Rimini e rifugiata politica dall'estate 2023, per il suo impegno da attivista e blogger nei confronti del regime. «È da giorni che vivo in uno stato probante», commenta. Con la comunità di cui fa parte, "Russi Liberi", lo scorso sabato, 17 febbraio, ha manifestato nel centro della cittadina romagnola, per tenere accesa con candele e fiori la memoria del principale oppositore di Putin.
Daria, cosa rappresentava per lei Navalny?
«Anzitutto, ci tengo a dire che non era il mio riferimento politico. Ero in Piazza Bolotnaya nel 2012, quando scoppiò la serie di proteste più massiccia contro il regime di Putin, dopo l'ennesima falsificazione delle elezioni. Fu allora che sentii parlare per la prima volta di Navalny, perché fu proprio lui a dare speranza a tutti. Perciò, per me, era associato a questa speranza. Ma non apprezzavo tutte le sue idee, specie quelle più nazionaliste, che tuttavia nel corso della sua vita ha saputo rivedere. Era soprattutto un esempio di resistenza e di lotta».
Ha dubbi sul fatto che sia stato o meno assassinato?
«Era un oppositore prima, poi un prigioniero politico, che è stato ingiustamente incarcerato e torturato per molti mesi: tenuto in una cela di punizione, in cui ha trascorso più di 300 giorni. Non so se Navalny sia morto per cause naturali dopo mesi di torture o se sia stato ucciso, ma è assolutamente chiaro che l'assassino è solo uno: Putin».
Ora alla famiglia non viene concessa nemmeno la possibilità di recuperare il suo corpo. C'è qualcosa da nascondere?
«Questa è solo un ipotesi, ma la verità è che questa scelta potrebbe essere dettata dalla natura così disumana del regime. Non escludo che sia un'azione messa in atto per proseguire la tortura di madre, moglie e figli».
In Russia il popolo è preoccupato o consapevole di vivere in un clima non libero?
«Molti fanno fatica a parlare di politica per paura di essere controllati, molti ancora manifestano il sostegno, ma credo per una dinamica inconsapevole di tipo psicologico: devi ammettere a te stesso di vivere in regime criminale o devi trovare giustificazioni, ed è più facile provare a trovare giustificazioni e credere che non sia così».
La moglie di Alexei, Julia, ha annunciato di voler raccogliere il testimone del marito. La sosterrete?
«Sì, e ne sono felice. Julia Navalny, in questi anni è stata la sua roccia. Le proteste spesso nel nostro Paese hanno avuto il volto di donna e non è la prima volta che nella storia c'è questo passaggio di consegne».
Ci sono altre personalità anti-regime per per cui ora teme?
«Sì per gli altri prigionieri politici: primi fra tutti Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin. Ma anche persone comuni, come la cittadina russo americana rientrata ieri in Paese e arrestata in aeroporto con l'accusa di alto tradimento per avere sostenuto negli anni scorsi con una raccolta fondi la popolazione ucraina».
Quali iniziative metterete in campo ora?
«C’è fermento al momento. La prossima sarà sicuramente il prossimo 24 febbraio, quando con gli ucraini - anche a Rimini - scenderemo in piazza nel secondo anniversario dall'inizio della guerra».
Nell'immagine Daria Kryukova. Foto concessa dall'intervistata