Agricoltura

Partite dalla Germania, le proteste degli agricoltori sono arrivate da diversi giorni anche nel nostro Paese. Ultima tappa nella nostra regione è stata Castel San Pietro, ma i lavoratori del settore non intendono fermarsi. Tra i diversi motivi ci sono le nuove norme europee, come la stretta sui pesticidi, ritirata negli scorsi giorni dalla Commissione Europea.

Alla base di tutto vi è però il problema dei bassi guadagni dei coltivatori, soprattutto per le piccole-medie imprese. Nonostante il prezzo dei prodotti per il consumatore sia notevolmente aumentato negli ultimi anni, i produttori vedono abbassarsi sempre di più i propri guadagni. Per spiegare ciò bisogna parlare della filiera di produzione e degli attori coinvolti in questo processo, che come ci ha spiegato Dalia Bortoli, presidente di Confagricoltura Donna Emilia-Romagna, e imprenditrice nel settore dell’ortofrutta, sono diversi.  

Senza entrare troppo nel dettaglio quelli principali per il settore ortofrutticolo sono tre: i produttori, da cui si approvvigionano le cooperative, i grandi commercianti ortofrutticoli e le aziende di confezionamento. Queste ultime gestiscono le fasi di conservazione del prodotto e trattano direttamente con il terzo e ultimo attore, ovvero la grande distribuzione. Tramite i propri buyer le grandi catene si accordano con queste strutture sui prezzi.

Proprio qui nasce il problema per l’agricoltore, che in questo schema non ha potere di trattativa rispetto alla grande distribuzione che «si trova in una situazione di forza rispetto al produttore e quindi impone partecipazione, promozione e scontistiche che vengono decise all'inizio dell'annata, prima ancora che si sappia come andrà effettivamente la produzione. Anche in caso di aumenti di prezzo, il produttore rimane vincolato al contratto originario», spiega Bortoli.

A incidere poi sui prezzi è la sempre più grande concorrenza che arriva dall’estero, altro punto cardine delle richieste dei lavoratori alle istituzioni. Se da un lato nel nostro Paese si è costretti a seguire rigide linee guida durante la produzione, in molti altri stati le leggi sono molto più morbide. Ciò permette ai coltivatori stranieri minori spese e di conseguenza di essere più competitivi sul mercato, come confermato anche da Bortoli: «Preferiscono spendere meno anche per un prodotto di qualità inferiore, straniero, piuttosto che per uno italiano che rispetta dei disciplinari di produzione molto rigidi, delle regole giuste per la sicurezza e la manodopera. Ci si approvvigiona da paesi che non avendo tutti questi oneri riescono a produrre con dei prezzi molto inferiori».

A ciò si sommano gli aumenti sulle materie prime, quello dei tassi di interesse e dei costi dei pesticidi. «Di fatto ormai i coltivatori arrivano a coprire poco più dei costi di produzione, senza considerare gli ammortamenti e i costi indiretti», spiega Diana. Spese che non vengono comunque coperte dalle agevolazioni «che influiscono poco, soprattutto per le piccole e medie imprese. Bisognerebbe garantire un reddito al produttore, perché poi il discorso fondamentale è ottenere il giusto prezzo dal prodotto. Un'agricoltura solo di sovvenzione non ha un futuro brillante, un'agricoltura che riconosca il giusto prezzo al produttore è un discorso che ha una sua logica», conclude Bortoli.

 

Dalia Bortoli, foto Confagricoltura.