Bologna 30

Bologna 30 potrebbe diventare un caso di studio per gli psicologi del traffico, i professionisti che analizzano lo stato di benessere delle reti stradali e di chi le attraversa. Perché anche i luoghi viari contengono ansie e ingorghi che si riflettono sullo stato mentale ed emotivo di chi guida o cammina. Abbiamo chiesto a Federica Biassoni, studiosa della disciplina – esistente in Italia da vent’anni all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, se la nuova andatura lenta, in vigore sotto le torri, possa costituire un elemento di distensione o di rilassamento che incentiva "la serenità" del traffico.
Federica Biassoni, anzitutto perché chi guida è sempre nervoso o stressato?
«Perché la strada è un luogo complesso, che ci richiede tantissima attenzione, e ci espone a moltissimi stimoli. Quindi comporta un grande sforzo a livello cognitivo, che genera stress. Inoltre, il nostro spostamento ideale non ha ostacoli, invece ci troviamo davanti spesso ostacoli e ingorghi».
Su cosa si concentra la vostra analisi?
«Svolgiamo ricerche per capire i processi percettivi, attentivi e decisionali che sottostanno al comportamento dell’individuo quando è utente della strada, per progettare, sulla base di questa conoscenza del “fattore umano”, interventi volti a mitigare il rischio o il malessere che può originare dal sistema-traffico. Il nostro obiettivo è da una parte formare gli utenti della strada e dall’altra aiutare altri professionisti a progettare l’ambiente stradale in modo che favorisca i comportamenti corretti. Pensiamo, ad esempio, alla geografia degli attraversamenti pedonali: è importante con il nostro studio prevenire quelli eventualmente rischiosi, perché conosciamo i limiti di attenzione e di vista periferica sia di autisti che di pedoni».
Ecco, a proposito di conoscenza dei fattori umani, a Bologna30 "l’umano" potrà mai abituarsi?
«La risposta ce la dà la storia. L’uomo è andato lentamente per circa 200.000 anni. Le auto sono un’invenzione relativamente recente, solo un po' più di 100 anni. Non a caso succedono gli incidenti, perché non siamo abituati o ancora predisposti alla velocità. Per il nostro funzionamento percettivo e cognitivo, 30 km orari rappresentano un’andatura più che normale».
Eppure la città è insorta, non dimostrandosi in gran parte disposta né a sperimentarlo, né ad accettarlo. Perchè?
«Ci si oppone perché il limite è vissuto come imposizione, e non come opportunità. E non è inserita in una visione sistemica».
Come si potrebbe ovviare?
«Credo risulterebbe utile inserire il provvedimento in un piano più ampio di cambiamenti: istituire il limite dei 30, ma lasciare tutto com’è, può comportare delle difficoltà. Se la città resta uguale, ma cambia solo il modo in cui si può percorrere, non vale. In coincidenza di Bologna 30, sarebbe auspicabile rendere zone prime carrabili in generale, ora attraversabili con i mezzi pubblici o con le modalità della mobilità dolce. Una sorta di "isole". Questo conferirebbe differenza all'intero assetto urbano».
I sostenitori di Città30, vantano l’esempio virtuoso italiano di Olbia o quello internazionale di Parigi. E' un'analogia che può reggere?
«Anche in questo caso occorre una visione più ampia: perché ogni città ha la sua dimensione, la sua rete di trasporti pubblici, i suoi flussi, quindi il provvedimento va visto all’interno di una visione più ampia della mobilità di quella specifica città»
In generale, come giudica il provvedimento Bologna 30?
«Qualsiasi provvedimento che aumenta l’autonomia del singolo e il benessere e la sicurezza di tutti nello spostarsi, fa bene al guidatore e al traffico»