QUINDICI

Due suicidi, 166 atti di autolesionismo, 88 scioperi della fame, 149 episodi di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. È quanto accaduto, in un solo anno, nell’istituto penitenziario di Piacenza che, insieme a Ravenna, è «oggi tra le realtà detentive più critiche della nostra regione», dice il garante dei detenuti Emilia-Romagna Roberto Cavalieri. Ma la situazione è grave anche in altre carceri. L’allarme degli ultimi giorni riguarda la Dozza. La struttura, pensata per ospitare 498 detenuti, oggi ne conta addirittura 823. «Se il trend di crescita dovesse continuare – dice Antonio Iannello, garante dei detenuti del Comune di Bologna – la pena detentiva, in futuro, finirà per assumere i tratti perversi di un trattamento disumano e degradante». A rendere la situazione ancor più complicata, l’attuale inagibilità di due sezioni per motivi di ristrutturazione. «Serve un’accelerazione dei lavori – sollecita il garante – per evitare che gli animi si esasperino ulteriormente». Tale contesto, infatti, influisce pesantemente sulla vita degli ospiti, riversandosi conseguentemente anche sul personale di polizia penitenziaria. «Le loro condizioni di lavoro risultano gravosissime – spiega il garante – per non parlare dei detenuti. Rinchiusi in cella per venti ore, senza possibilità di fruire di alcuna attività rieducativa». Al suo appello si unisce anche Domenico Maldarizzi della Uil che chiede il «blocco degli ingressi» mentre la Camera penale di Bologna lancia l’allarme: «Il carcere è al +164% della sua capienza» e la grave limitazione degli spazi e la mancanza di lavoro e formazione producono tensione. Tensione che sta crescendo in tutte le carceri italiane dove ha fatto scalpore la notizia della morte di Matteo Concetti, il ragazzo di 23 anni che si è suicidato ad Ancona dopo aver annunciato il suo gesto perché non voleva di nuovo finire in isolamento. Purtroppo, non si tratta di un caso isolato, come dimostra il rapporto del garante con il bilancio dell’intero 2022, l’ultimo disponibile poiché i dati del 2023 devono ancora essere raccolti ed elaborati. I numeri sono ovunque sbalorditivi e preoccupanti. Trecento novantuno episodi di autolesionismo a Bologna, 249 a Reggio nell’Emilia, 196 a Modena: il totale nella regione è 1.460, più di quattro casi al giorno. «Le condizioni all’interno delle carceri sono drammatiche – ammette Cavalieri – a Ravenna, per esempio, i detenuti vivono in celle di soli otto metri quadrati. Sono anche queste criticità che spingono ad atti simili». Atti che, purtroppo non poche volte, sono anche sfociati nel peggio. Centottantuno sono i tentativi di suicidio, uno ogni due giorni: 53 a Bologna, 40 a Reggio Emilia, 27 a Parma. «I suicidi veri e propri sono stati sette – sottolinea Cavalieri – due di questi nell’istituto di Piacenza, gli altri a Bologna, Rimini, Ravenna e Forlì». Ma il suicidio, secondo il garante, non è l’unico «parametro sincero del disagio», in quanto «dipendente da molte più variabili». «Non possiamo ricondurlo esclusivamente alle difficoltà del contesto carcerario – afferma – la sofferenza del detenuto, spesso, parte anche da prima del suo ingresso in struttura e non sempre è facile da contenere». Infatti, laddove mal gestita e poco controllata, questa può spesso sfociare nella violenza: 22 le aggressioni dei carcerati agli agenti di Reggio, 15 a Ferrara, 10 a Modena nel 2022. Ancor di più sono state le denunce per resistenza a pubblico ufficiale: 319 a Parma, 149 a Piacenza, 102 a Bologna. «Le probabilità che accadano eventi del genere sono legate a due fattori – spiega Cavalieri – la dotazione dell’organico e le caratteristiche dell’utenza». Infatti, nelle carceri in cui il numero di detenuti in ‘condizioni critiche’ – poveri, tossicodipendenti o malati psichiatrici – è alto mentre quello di agenti è basso, scontri violenti si verificano con maggiore frequenza. E la convivenza dietro le sbarre diventa davvero difficile, fino a sfociare in violenza tra gli stessi detenuti: nel 2022 sono state 54 le aggressioni e gli scontri tra carcerati a Bologna, 79 a Parma, 77 a Modena. «In cella s’incontrano abitudini, usanze e culture spesso distanti e incompatibili tra loro – dice il garante – ma di questi casi si potrebbe ridurre il numero se ci fosse personale a sufficienza». I dati, però, sono tutt’altro che rassicuranti: a fronte di una popolazione carceraria in costante aumento, il personale penitenziario è più che carente, «quantitativamente inadatto nel rispondere alle esigenze dei detenuti». Nel 2022, il divario tra l’organico previsto e quello effettivamente presente negli istituiti della regione è stato, in media, di oltre il 16%, con picchi maggiori nelle carceri di Forlì (-24%), Rimini (-21%) e Ravenna (-19%). Invece dei 2.390 agenti previsti in regione, quelli realmente in servizio erano solo 2004, con una differenza di quasi cento a Bologna (da 541 a 445), novanta a Parma (da 462 a 373), cinquanta a Reggio Emilia (da 240 a 194). Ma la situazione non è migliore per quanto riguarda i funzionari giuridici pedagogici, il cui numero è pure sott’organico. A fronte dei 58 previsti, infatti, quelli in servizio effettivo sono stati solo 50: nove anziché dodici a Parma, quattro anziché sei a Piacenza, tre anziché uno a Ravenna. Insomma, domanda crescente e risposta insufficiente. E i guai, purtroppo, non finiscono qui. «I nostri istituti sono in perenne sovraffollamento – dice Cavalieri – delle vere e proprie celle pollaio». Sebbene la capienza regolamentare sia di 3.020 detenuti, a dicembre 2022, il loro numero complessivo era di 3.407 (+ 13%). Di questi, 1.660 gli stranieri (48%), 153 le donne (4%). A Bologna, 233 detenuti uomini in più rispetto a quelli previsti (676 anziché 443, ma come abbiamo visto le cose sono peggiorate negli ultimi mesi), a Ferrara 117 (361 anziché 244), a Reggio nell’Emilia 59 (339 anziché 280). Discorso simile, se non più grave, vale anche per le donne. Mentre a Bologna e Modena il numero delle detenute ha superato la soglia ordinaria (77 su 59 posti alla Dozza, 30 su 18 al Sant’Anna), ci sono strutture – Castelfranco Emilia, Parma, Rimini Ravenna e Ferrara – al cui interno, di carcerate donne, non ce n’è neppure una. La causa principale di questo fenomeno «ormai radicato», secondo il garante, è l’«inefficiente lavoro delle direzioni amministrative». «A essere sovraffollate, nelle carceri emiliano-romagnole, sono solo le sezioni degli imputati definitivi – spiega Cavalieri – mentre quelle dei semi-liberi o dei detenuti articolo 21 sono praticamente vuote». La semi-libertà consente al detenuto di trascorrere la giornata all’esterno della struttura, per ragioni lavorative o anche familiari, con il solo vincolo di rientrarvi per la notte; stessa cosa per chi in virtù dell’articolo 21 può uscire dal carcere unicamente per motivi di studio o lavoro. Inizialmente concepite per facilitare il reinserimento sociale dei detenuti, la funzione di queste misure è andata sempre più ampliandosi. «A causa della crescita esponenziale della popolazione carceraria, queste misure alternative vengono oggi utilizzate come strumento di contrasto al sovraffollamento – afferma il garante – anche se non tutte le direzioni amministrative si sentono ancora a proprio agio nell’applicarle». Concedere la semi-libertà o la possibilità di lavorare all’esterno presuppone, infatti, una forte assunzione di responsabilità, «ma non tutti sono disposti a prendersela». Nelle strutture di Piacenza e Ravenna, ad esempio, le sezioni dei semiliberi sono praticamente deserte, mentre quelle dei definitivi più che affollate. «É statisticamente impossibile che tutti i detenuti siano in una condizione di incompatibilità con le misure alternative – spiega il garante – quindi, avere questi ambienti vuoti, significa che le direzioni hanno scelto volontariamente di non concederle, tenendo in cella anche coloro per cui, invece, sarebbe stato possibile farlo». Ed è soprattutto questo che genera sovraffollamento. «Le direzioni dovrebbero essere più propense a utilizzare tali strumenti, così da ridurre il numero dei detenuti definitivi e smaltire le loro sezioni», sostiene Cavalieri. Ma c’è dell’altro. A rendere le carceri dei luoghi «sempre più gremiti e stracolmi», come li definisce il garante, sono anche aspetti più meramente strutturali, legati all’assetto e all’organizzazione architettonica degli edifici. Nell’istituto di Parma, per esempio, ad aggiungersi a un quadro già assai problematico, è la presenza di un Sai (servizio di assistenza intensificata) e di una sezione ‘minorati fisici’. «Questo, date le carenze dei servizi della sanità penitenziaria in alcune regioni, determina qui il trasferimento di detenuti anche da altre strutture – spiega il garante – ciò, inevitabilmente, causa un problema: abbiamo già poco spazio per la nostra utenza, non possiamo permetterci di accoglierne dell’altra». Situazione critica è anche Ravenna, istituto antico, risalente ai primi del Novecento. Come spiega Cavalieri: «La vetustà della struttura la rende ormai inadeguata a soddisfare le esigenze dell’utenza. Con camere di pernottamento di soli otto metri quadrati, è costantemente gravato da situazioni di protesta, risse violente e affollamento». Dunque, aggressioni, suicidi, sovraffollamento e carenza di personale in strutture vecchie e inadeguate. Un quadro critico e sfaccettato che richiede investimenti e interventi da parte delle autorità affinché il carcere possa realmente diventare un luogo di «rinnovamento, trasformazione e reinserimento sociale».

 

 

Questo articolo è già stato pubblicato nel numero 14 di Quindici, il bisettimanale di InCronaca, in data 18 gennaio 2024.

Nell'immagine: Roberto Cavalieri, garante dei detenuti Emilia-Romagna.

Foto concessa dall'intervistato