ritocchi plastici

Una 42enne bolognese voleva tonificare i propri zigomi ma denuncia di essersi ritrovata con un grosso granuloma sulla guancia dopo che il chirurgo le ha iniettato una sostanza contenente anche silicone liquido. Un’imprenditrice svizzera in una clinica privata nel Riminese si è fatta tentare dalla proposta di migliorare il proprio aspetto: le hanno lasciato il ventre deturpato, un grumo sotto l’occhio e un seno asimmetrico. La modella di Modena, Cristina Guidetti, voleva correggere alcune imperfezioni al viso e le hanno provocato ustioni gravissime, utilizzando il laser. La giornalista Mirella Serattini sperava di attenuare una ruga: è rimasta sfigurata dall’iniezione di silicone liquido, spacciato per acido ialuronico. Negli ultimi anni la cronaca restituisce casi di trattamenti di medicina estetica o di interventi di chirurgia estetica con esito dannoso anche perché sono centinaia di migliaia le persone che ricorrono al bisturi per cambiare aspetto.

In Italia secondo il report Isaps (International society of Aesthetic Plastic Surgery) nel 2022 sono state 747.391 le procedure erogate (+78.607 sul 2021 ma ancora in ritardo rispetto alle 830.868 registrate nel 2020). Quanto rischia chi decide di sottoporsi a questi interventi? «Tutti gli interventi chirurgici hanno rischi e complicanze. Noi non parliamo di interventi di urgenza ma di interventi che scegliamo di eseguire nel momento più idoneo», risponde il chirurgo plastico Claudio Bernardi, presidente dell’Associazione di chirurgia plastica estetica (Aicpe). Ma è importante segnalare che «il silicone liquido è vietato in Italia da più di 30 anni. Non credo che ci siano più chirurghi o medici che infiltrino silicone per estetica – spiega il chirurgo –, qualora ce ne fossero, sicuramente lo fanno in strutture non autorizzate e non devono più essere considerati medici. Non è un atto medico, ma uno perseguibile dalla legge italiana». Aicpe conta circa 500 iscritti e tra il 12 e il 14 aprile celebrerà l’undicesimo congresso nazionale a Rimini. Tra gli argomenti ci saranno i benefici della chirurgia plastico-estetica nella disforia di genere e nelle transizioni di sesso e una tavola rotonda con il Ministero della Salute sul registro prostetico «un documento ufficiale nazionale, in cui saranno registrati gli impianti mammari usati sul suolo italiano», aggiunge Bernardi. Prima di eseguire un’operazione «non c’è solo la richiesta del paziente ma anche la nostra valutazione medica di decidere, in base alle condizioni cliniche dell’assistito, quando farlo e farlo in maniera ottimale», sottolinea il chirurgo. È quindi il medico ad adottare le precauzioni per limitare il livello di rischio, «deve rimanere confinato in ambiti numericamente non significativi – assicura – È importante anche ridurre il numero delle complicanze, prevenirle operando in maniera corretta in strutture adeguate e saperle riconoscere in fase iniziale». Cruciale è il rapporto tra medico e assistito: «Ogni intervento deve essere modulato sul paziente. Dobbiamo capirne le esigenze e far capire quali sono le possibilità reali di correzione». In generale, il quadro è di una chirurgia «cresciuta moltissimo in termini qualitativi e quantitativi. Si fanno molte più procedure di chirurgia plastica ed estetica rispetto a 10 o 20 anni fa. C’è più ricerca e più studio, si lavora per migliorare la sicurezza, i risultati e la stabilità degli interventi», spiega Bernardi.

L’Italia è ottava nel 2022 per numero di procedure totali. I report Isaps ci descrivono come inquilini abituali della top ten internazionale, nel 2016 addirittura quarti (957.814 procedure), lambendo un podio monopolizzato da Stati Uniti e Brasile, con un avvicendamento al terzo posto di Germania, Giappone, Messico e Russia. Le quasi 750mila procedure del 2022 comprendono 262.556 interventi chirurgici e 484.834 trattamenti non chirurgici. Mastoplastica additiva (intervento al seno), blefaroplastica (intervento a palpebre e borse sotto gli occhi) e liposuzione (asportazione di grasso sottocutaneo) sono i più comuni tra i primi. Il ricorso ad acido ialuronico, botulino e peeling chimico sono i più gettonati tra le azioni meno invasive. I trattamenti non chirurgici arrivano quasi a doppiare gli interventi. «La medicina estetica ha preso il via ovunque. È monitorata moltissimo la qualità dei prodotti ed è tecnicamente anche più “accessibile”, “più facile” da eseguire, con una formazione più breve di quella di un chirurgo – prosegue Bernardi – È un trend che non si fermerà. I trattamenti di medicina estetica sono sempre più strutturati e invasivi. Questo fa sì, che quelli di chirurgia si riducano». Negli anni è cambiato molto il paziente medio. «Una chirurgia estetica d’élite non esiste più – dichiara Bernardi – La grande maggioranza degli italiani può permettersi un trattamento o un intervento chirurgico paragonabile al comprare una macchina».

Sul sito della Società italiana di medicina e chirurgia estetica (Sies) sono indicate le tariffe medie in Italia per il 2024 che sembrano confermare le parole del chirurgo. Al momento il prezzo di una rinoplastica completa (intervento al naso) oscilla tra i 3.500 e i 6 mila euro, gli interventi di chirurgia al seno tra 3mila e 6500, un’addominoplastica completa tra i 3500 e i 6500. Decisamente meno costosi i trattamenti di medicina estetica come una seduta per infiltrazione di botulino (tra i 150 e i 350 euro). Pur senza numeri ufficiali a riguardo, sembra in crescita il numero dei minorenni che desiderano ritoccarsi per aderire a canoni estetici diffusi sui social, anche tramite i filtri. «Le richieste aumentano ma la classe medica deve sapersi comportare come tale, rispettando la legge e i tempi biologici di crescita – sottolinea Bernardi – È vietato operare un minorenne tranne che con il consenso dei genitori. Parliamo di tessuti in evoluzione. Se un ragazzo o una ragazza di 15 anni vuole operarsi al naso, dobbiamo aspettare che sia completata la fase adolescenziale».

Perché tante persone desiderano sottoporsi a interventi o trattamenti per migliorare la propria immagine? Lo spiega la psicologa e psicoterapeuta Elisabetta Notaro: «Viviamo in un’epoca materialista, in cui le persone misurano successo, valore e felicità esteticamente, trascurando il superamento delle soglie interne della vita – prosegue – Se non vengono superate dal punto di vista psicologico-esistenziale, invecchiare diventa solo un problema di decadenza fisica. Tutto si riduce a cercare di fermare il tempo». Notaro invita a non demonizzare la chirurgia estetica che «può essere molto utile per ritrovare la sicurezza in sé stessi». È importante evitare gli eccessi soprattutto tra i più giovani, che «più che correggersi per un reale difetto, aspirano ad aderire a un modello esterno di bellezza – sostiene la psicologa – A forza di vedersi con questi filtri, cominciano a soffrire di complesso di inferiorità da modello idealizzato di sé. Vogliono assomigliare a quell’immagine che il ritocco fotografico fa interiorizzare loro». «A furia di modificare il viso, si finisce per non riuscire mai a vedersi perfetti. Si entra in una forma ossessiva, la dismorfofobia, per cui più ti correggi, più vedi difetti», avverte Notaro. Tra le cause c’è la veicolazione del concetto di «amore condizionato» e i più giovani «non possono che aderire a questi modelli nella ricerca dell’amore». L’antidoto è nell’educazione emotivo-affettiva, «non verranno amati se sono belli e perfetti ma verranno al limite strumentalizzati come trofei. Se non nutrono la loro anima ad accogliere e amare i propri difetti, nessuno lo farà per loro. La chirurgia estetica non è la soluzione».

Quando si è vittima di un danno estetico come ci si tutela? Innanzitutto, è opportuno recuperare i documenti medici: «Cartella clinica e consenso informato sono fondamentali, come il parere di un legale e quello di un consulente tecnico – informa l’avvocato penalista Luca Portincasa – Giudice, pm e avvocati non hanno competenze mediche. Le consulenze si rivelano fondamentali e avere tutta la documentazione medica è davvero importante». Portincasa assiste la 42enne bolognese rimasta sfigurata, che ha sporto denuncia contro il chirurgo, accusato ora di responsabilità colposa per lesioni personali in ambito sanitario e lesioni personali. «La totale assenza del consenso informato ritengo sia una gravissima omissione. Il motivo di tali gravi mancanze bisognerà chiederlo al medico. Sarà materia del processo», afferma il legale. Tra marzo e maggio 2023 la donna si è sottoposta a una serie di trattamenti per tonificare gli zigomi ma il chirurgo estetico 67enne, senza consenso informato, le avrebbe iniettato una sostanza contenente anche silicone liquido, provocandole un granuloma sulla guancia. La paziente chiede spiegazioni al professionista, che l’avrebbe aggredita, afferrandola e spintonandola contro un muro. «Posso fornire le iniziali del medico, S.S., con studio a Rastignano», dichiara il legale.

La località era già stata luogo di un episodio di iniezioni di silicone liquido. Lì si trova lo studio del chirurgo Stefano Stracciari, denunciato da Mirella Serattini per averle iniettato nel 2006 la sostanza proibita dal 1993. Dopo una condanna in primo grado a 14 mesi, il caso finì in prescrizione. Nel 2019 i Nas hanno svolto un blitz nello studio, dove hanno sequestrato una stanza, alcuni medicinali e attrezzature. L’udienza è fissata al 10 ottobre 2024 al tribunale di Bologna. «Bisognerà vedere quale scelta farà la difesa dell’imputato tra dibattimento o rito speciale, come patteggiamento o giudizio abbreviato – afferma l’avvocato – Chiederemo di costituirci parte civile. Solo così si potrà chiedere alla fine un risarcimento». Dopo aver contattato diversi specialisti, la sua assistita è riuscita a trovare un chirurgo, che effettui un intervento correttivo: «Spero vivamente riesca a trovare la soluzione definitiva, anche se immagino ci saranno strascichi di natura emotiva, che difficilmente potranno essere cancellati», spiega Portincasa.

Per danno estetico è possibile agire anche in sede civile. L’avvocato civilista Giovanni Santià ha seguito diversi casi di risarcimento: «Naso, orecchie e seno sono quelli che si vedono di più, su cui spesso si fanno errori più visibili». «Non mi sono mai capitati ciarlatani – dichiara Santià – Tutti i professionisti fanno lavori complessi, che comportano rischi elevati e ogni tanto si manifestano in errori». Inizialmente si opta per una soluzione tecnica. «Se il medico è in grado di effettuare un intervento risolutivo, nella maggior parte dei casi la questione si risolve senza pagare nulla», spiega Santià. Se non è possibile, si instaura una trattativa con il professionista, che deve azionare l’assicurazione e informare la clinica o l’ospedale, anche loro solitamente destinatari della richiesta di risarcimento. «Il danneggiato si munisce di una perizia, individuando danno e nesso causale. Serve la certezza che il danno derivi dall’attività del chirurgo», prosegue il legale. Al danno patrimoniale (spese medico-farmaceutiche, riabilitazione, perdita di un’opportunità lavorativa) viene aggiunta una quantificazione del danno non patrimoniale (estetico, psicologico, morale, biologico, relazionale). Poi tramite una perizia stragiudiziale «le parti possono vedere il danneggiato e avere una tesi in merito alla sussistenza del danno e del nesso causale, alla quantificazione del danno e a un’offerta di indennizzo – spiega Santià – L’alternativa è andare in tribunale».

Si può ancora raggiungere un accordo tramite mediazione o accertamento tecnico preventivo, «ovvero il giudice fissa un’udienza per dare l’incarico a un consulente tecnico d’ufficio, che svolge la perizia e tenta la conciliazione». «Non ci sarà sentenza – spiega l’avvocato – Se le parti si accordano, si fa un verbale a titolo esecutivo e si procede con un risarcimento». In caso contrario, la parte lesa può ricorrere a un giudizio vero e proprio. Secondo l’avvocato, «una percentuale elevata» di questi casi termina prima: «Quando la controparte vede quello che hai chiesto, il medico sa quanto ha sbagliato, se ha sbagliato. Se la trattativa va su binari giusti, la soluzione si trova. A volte le assicurazioni sono ago della bilancia in senso negativo. Questo causa un aggravio in costi e procedura, perché si deve arrivare in fondo alla causa». I tempi di giudizio in questi casi non sono lunghi. «Nel giro di qualche mese hai la consulenza tra le mani – valuta il civilista – Se il giudice ha un ruolo libero, fissa l’udienza in fretta. Il problema non è il tempo della pratica in sé ma dell’ufficio giudiziario; tante volte sono cause che chiudi in un anno»