27 gennaio

Quando si discute della Giornata della Memoria, che cade il 27 gennaio di ogni anno, è facile incappare in narrazioni molto mainstream legate a siti scolastici e istituzionali. In effetti, se si parla di Olocausto, la necessità di ricordare l’orrore diviene fondamentale e fondante: sulle ceneri del genocidio degli ebrei avvenuto durante la seconda guerra mondiale si è costruita l’Europa che conosciamo oggi e consequenzialmente una parte importante della cultura europea. Quello che succede tra Israele e Hamas in qualche modo ricorda, per il ruolo di Tel Aviv - come sostiene lə giornalista ebrea russo-statunitense Masha Gessen - quello che successe in Italia alla fine della guerra, sulle colpe del Regno, del fascismo e dell'impero nelle sue colonie e nel conflitto mondiale.

In Italia la questione è spesso liquidata frettolosamente e ha creato molte discussioni il presidente del Senato di destra Ignazio la Russa che, davanti al memoriale della Shoah, ha risposto stizzito al giornalista che gli chiedeva se in quel momento e in quel luogo si sentiva antifascista. Come sottolineano vari storici, la destra italiana non ha mai realmente fatto i conti con le colpe del passato: lo dimostra la narrazione legata al famigerato mito degli «italiani brava gente» che tende a minimizzare le violenze, gli stupri e le uccisioni del colonialismo italiano in Etiopia, avvenuto durante il fascismo. Anche lo stesso ruolo di Mussolini nell’appoggiare le leggi razziali hitleriane è stato fatto passare dalle retoriche post belliche come subalterno, quasi marginale, come se in fondo avesse semplicemente "assecondato" il piano di un alleato. I tanti storici che hanno confutato il mito, tra cui spicca Angelo Del Boca autore del volume titolato proprio Italiani brava gente, sono concordi nel sottolineare quanto tale visione sia non solo semplicistica ma ampiamente revisionista. 

In Germania la questione è molto diversa. I tedeschi all’indomani della guerra hanno iniziato a fare i conti con il proprio passato, spesso in modo molto profondo e con l’ausilio di un’architettura - monumenti, memoriali, musei - che, soprattutto nella capitale, è atta a non far dimenticare nulla di quella storia. È proprio alla luce di tutto questo che ci si chiede qual è il significato intrinseco della memoria e particolarmente nella sua connotazione di “giornata”: qual è il suo obiettivo? Ricordare date e nomi sicuramente, ma principalmente fare in modo che la struttura di potere politico che permise l’Olocausto non si ripeta. Da questo punto fondamentale nasce il lavoro di Masha Gessen, che firma «In the shadow of the Holocaust» un articolo uscito sulle colonne del New Yorker, leggibile in italiano sul numero 1.546 di Internazionale. Masha Gessen era già statə al centro delle polemiche lo scorso 16 dicembre, quando avrebbe dovuto ricevere il famoso premio Hannah Arendt che «celebra le persone che individuano aspetti critici e inediti dell’attualità politica e che non temono di prendere posizione pubblicamente in dibattiti su temi controversi». Gessen ha tracciato un parallelismo tra Gaza e i ghetti dove gli ebrei erano stati confinati per denunciare i crimini di Israele e questo ha portato a un rinvio della cerimonia, svoltasi poi il giorno dopo in sordina e sicuramente non in pompa magna. Nell’articolo Gessen riporta come questa sia solo una delle moltissime iniziative che in Germania vengono rimandate o sospese con l’accusa faziosa di antisemitismo.
La forza delle parole è importante, spiega la giornalista, che per raccontare queste accuse si sofferma sulla definizione di antisemitismo che in Germania è divenuta maggioritaria, ovvero quella fornita dall’"International holocaust remembrace alliance" (Ihra) che tra gli undici indizi esemplificativi per spiegare il fenomeno riporta anche «paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti». Sotto questa ottica, muovere delle accuse alle azioni di Israele dopo l’attacco del 7 ottobre diventa di fatto impossibile: le istituzioni tedesche tolgono ogni tipo di sovvenzione a chiunque ospiti pensatori, giornalisti o accademici critici nei confronti di ciò che sta accadendo in Palestina. La questione assume, dice Gessen, i confini dell’assurdo, soprattutto se si pensa alla numerosità degli intellettuali ebrei sopravvissuti all’Olocausto che in primis si sono battuti per dimostrare che quell’orrore è tranquillamente ripetibile. E come ricorda l'autorə, si sta ripetendo a Gaza. Hannah Arendt nel 1951 paragonò senza mezzi termini un partito israeliano al partito nazista: secondo i termini dell'Ihra verrebbe tacciata di antisemitismo.

Se la Storia è materia viva e vibrante, quella della Shoah non può essere ovviamente dimenticata, ma occorre inserirla in un sistema di ragionamento valoriale tale per cui non passi in secondo piano la portata politica della Giornata della Memoria, che oggi più che mai potrebbe essere fondamentale per analizzare i crimini che stanno avvenendo a Gaza, dove la popolazione civile è sempre più provata. Se il parallelismo ci fa storcere il naso, sembra dirci Gessen, è perché è difficile pensare che «una vittima possa essere anche un carnefice», ma forse è l’unico modo per evitare realmente che certi errori si ripetano, anche se in altre latitudini e con altre religioni.

 

Masha Gessen, foto con licenza Creative Commons