Mobilità

Bo 30

Bologna 30 è partita questa settimana e il dibattito tra favorevoli e contrari si accende. Il sindaco Lepore è deciso ad andare avanti, convinto che il tempo mostrerà ai cittadini la bontà del progetto: ossia la significativa riduzione di incidenti e morti. Dal lato dei contrari già due iniziative sono in campo per annullare il nuovo modello di mobilità.

Per tentare di sbrogliare la matassa e cercare di capire che futuro ci aspetta può essere utile vedere le fasi e gli effetti che questa misura di riduzione della velocità ha prodotto in città europee che la adottano da vari anni.

Tra queste vi è Graz, città austriaca di quasi 300 mila abitanti (dati 2023) e capoluogo del Land di Stiria. La città per superficie e abitanti residenti può essere paragonata a Bologna. Per questo confrontare la storia e l’andamento di “Graz 30 km/h”, misura adottata dal 1992, può costituire un caso-scuola.

L’idea di ridurre la velocità a 30 km/h in alcune vie cittadine, nelle aree frequentate innanzitutto da anziani e minori (come ospedali, scuole e quartieri residenziali) venne lanciata già a fine anni ’80 e alcuni test preliminari su fattibilità e impatto furono portati avanti dal Comune.

Tuttavia anche nella città austriaca molti si sollevarono contro l’iniziativa, timorosi dei rallentamenti e possibili disagi che avrebbe provocato. Un clima non dissimile da quello che in queste settimane sta agitando le categorie degli autisti di taxi e auto blu in primis.

Ciò indusse il governo locale a introdurre i primi cambiamenti alla mobilità attraverso una sperimentazione di due anni, dal settembre del 1992 all’agosto del 1994. In questa fase di prova solo il 44.1% dei residenti si diceva a favore del provvedimento che inizialmente rendevano il 23% delle vie a velocità ridotta. Ancora meno l'approvazione tra gli automobilisti: quelli concordi erano meno di un terzo della popolazione.

Nei due anni di sperimentazione il Comune si è mosso su un doppio binario: una segnaletica capillare composta di cartelli informativi e pittogrammi su asfalto e una altrettanto estesa campagna di sensibilizzazione civica, iniziata tra le cariche pubbliche e istituzionali per poi cadere a pioggia su tutta la popolazione, con il coinvolgimento anche delle scolaresche nella campagna. In un primo periodo ai posti di blocco si davano solo degli avvisi a chi eccedeva la velocità. Le sanzioni vere e proprie scattarono dopo tale periodo di prova. Per altro il codice della strada austriaco emette multe meno salate di quello italiano: 35€ per il superamento del limite entro i 20 km/h, 100€ entro i 30, 160€ entro i 40 km/h. Oltre i 40 km/h le multe partono da 160€. Diventa molto duro il trattamento per chi supera di 60 km/h il limite urbano e di 70 l'extraurbano: prevista la confisca dell'auto per due settimane. Confisca e messa all'asta della vettura quando si viaggia oltre i 110 in città e oltre i 200 su autostrade e superstrade. Al contempo si è scelto invece di non intervenire in maniera strutturale, con grandi opere. Già dotata da fine ‘800 di una propria linea tramviaria, il progetto di una metro che riducesse il traffico privato venne ritenuta inattuabile dopo che uno studio ne sconsigliò la realizzazione per via della scarsa estensione cittadina.

Eppure comunicazione comunale e maggiore sicurezza percepita portarono già nel mese successivo a un ribaltamento dei sondaggi: il 60% della comunità di Graz si disse a favore, una percentuale cresciuta linearmente fino al 77,3% registrato al termine del periodo sperimentale.

Simultaneamente è cresciuta la richiesta di allargamento della zona interessata, che oggi ricopre l’intero tessuto urbano, tra l’80% di strade a 30 km/h e le restanti a scorrimento più rapido, inizialmente fissato a 60 km/h e poi ridotto a 50.

Le rilevazioni del resto hanno mostrato effetti positivi difficilmente confutabili: alla fine della sperimentazione, nel 1994, gli incidenti con danni alle persone erano calati del 24% mantenendo il dato costante nel tempo o registrando lievi cali. Grande incremento invece ha avuto il traffico ciclabile grazie alla significativa diminuzione degli incidenti che coinvolgono le due ruote, passati dai quasi 500 del 1992 ai circa 350 di fine millennio.

Stando ai dati sembra innegabile il giovamento che il progetto produce tanto nel diminuire gli incedenti su asfalto, quanto nell’aumentare la percezione di sicurezza delle persone, portate a sfruttare maggiormente mezzi ritenuti meno sicuri come le biciclette. Eppure emerge parimenti la difficoltà della popolazione ad accettare queste misure, almeno nelle fasi iniziali, e come queste debbano essere intrecciate a una approfondita e diffusa campagna di sensibilizzazione e accompagnamento alla nuova mobilità.

 

Foto di Alessia Sironi