Esteri

Il Sol de Mayo si sta facendo arroventato. In Argentina, infatti, è salito al potere Javier Milei, politico di estrema destra, uscito vincitore il 20 novembre dall’agone del ballottaggio presidenziale in cui ha inaspettatamente sconfitto il candidato peronista e ministro dell’Economia uscente Sergio Massa. L’Argentina sta attraversando un’altra crisi da un punto di vista economico. Con l’inflazione al 143%, ma destinata a salire fino al nuovo anno e con una percentuale spropositata di poveri (più del 40%) e di indigenti (10%), il terremoto Milei potrebbe portare in dote altre scosse telluriche.

Il “nuovo” si è insediato alla Casa Rosada, (la sede degli uffici del Presidente della Repubblica dal 1898), il 10 dicembre. Ciò che sembra stupefacente agli occhi anche degli esperti di politica internazionale è la rapida scalata politica del primo attore di questa storia: candidatosi per la prima volta soltanto nel 2021 nelle liste de “La Libertad Avanza”, coalizione partitica di destra che ha fondato proprio quell’anno insieme a Victoria Villaruel, è riuscito a farsi eleggere subito come deputato e a raggiungere in due anni un risultato che equivale a scalare la vetta dell’Aconcagua, la montagna andina più alta del Paese sudamericano. Economista bonaerense dalle forti posizioni liberiste, si è guadagnato la fiducia del proprio attuale elettorato dal 2014 in avanti con i suoi discorsi anticasta e antisistema nei talk show argentini. In questa campagna elettorale ha ricevuto l’endorsement di Mauricio Macri, ex presidente dal 2015 al 2019 e a capo della coalizione di destra “Insieme per il Cambiamento”, il quale è riuscito a procurargli la base di sostegno necessaria per ottenere la maggioranza e la carica di Presidente. Molti sostenitori del moderatismo di destra, di cui fa parte lo stesso Macri, sperano nell’attenuamento di certe posizioni estremistiche dell’anarco-liberista Milei, il quale sarebbe pronto ad abolire la Banca centrale argentina e quindi a dollarizzare l’intero sistema economico. Altro snodo importante del suo programma politico è il dimezzamento di più del 50 per cento dei ministeri presenti nel tessuto istituzionale, molti dei quali sarebbero raggruppati nel dicastero del Capitale Umano. Otto ministeri, secondo la volontà presidenziale. Una criticità riscontrabile a primo acchito nel suo iniziale percorso istituzionale è la mancanza totale di rappresentanza della sua coalizione partitica ai vertici dei governi delle province, che hanno importanti poteri su settori quali istruzione e sanità, visto che l’Argentina è uno Stato federale. Nonostante ciò, in campo elettorale il leader dell’estrema destra ha sorpreso tutti e ha avuto la meglio in quasi tutte le province dello Stato. Ecco, appunto, la spiegazione di una ascesa rapidissima. Per analizzare questa figura divisiva da un punto di vista più “interno”, abbiamo raccolto le voci di tre argentini che vivono e lavorano a Bologna, ma con un orecchio teso verso l’altra parte dell’Oceano. L’insegnante di lingua spagnola Tito Dall’Occhio, in Italia da qualche anno, non si aspettava l’affermazione dell’estrema destra nell’ultima tornata elettorale: «Prima di quest’anno, era successo nel 1976, quando fu orchestrato il golpe militare che portò alla presidenza Videla. Milei crede che attraverso la dollarizzazione dell’economia possa risolvere tutti i problemi. Questo è assolutamente sbagliato secondo me. Anzi, io vorrei che venisse adottata una moneta macroregionale in stile euro sia in Argentina che in altri Paesi sudamericani. In questo modo la nostra valuta sarebbe più forte nel mercato globale. Non sono riuscito a votare, ma se l’avessi potuto fare, avrei optato per Sergio Massa». L’insegnante argentino ha riportato anche la preoccupazione dei parenti che vivono al di là dell’Oceano e i motivi per cui Milei è stato scelto come Presidente: «Nessuno di loro lo ha votato e credo che la maggioranza degli elettori lo abbia premiato perché le conseguenze economiche della pandemia hanno fatto colare a picco i governi di molti Paesi, tra cui quello argentino. Un altro fattore è relativo alla crisi agricola (su cui si basa molto del nostro export) degli ultimi due anni innescata da i cambiamenti climatici in atto». Sulla stessa lunghezza d’onda è Jonathan Contreras, 37enne progettista meccanico: «Le idee di Milei non sono realizzabili in campo economico. Lui è un anarco-capitalista che fa proposte utopistiche. Io ho infatti votato per il candidato peronista Massa, come tutta la mia famiglia». Il timore per una svolta estremista è forte: «Mio padre è in pensione e l’attuale esecutivo vuole privatizzare questo sistema. Non sarebbe una buona soluzione per la nostra economia». Luis Moro, operaio metalmeccanico nel nostro Paese da una decina d’anni, invece, non si schiera: «Non sono riuscito a esprimere una preferenza, ma non l’avrei fatto per i due candidati più noti. Preferisco affidarmi a partiti più piccoli, più indipendenti, che hanno un senso di rettitudine maggiore». Manifesta anche il fatto che «Milei sia meno peggio del presidente uscente Alberto Fernandez, peronista dell’ala kirchnerista, il quale non ha governato bene durante il suo mandato». La spinta di estrema destra che ha colpito nel corso degli ultimi anni Stati Uniti e Brasile (nel primo caso con Trump e nel secondo con Bolsonaro) si è manifestata anche nel Paese del Tango. Il revisionismo di Milei riguardo la tragica storia dei desaparecidos (per il nuovo Presidente molti di meno rispetto a quelli riscontrati dalle fonti storiche) sotto quello che è stato anche il “Processo di riorganizzazione nazionale”, come si autodefiniva la dittatura, è un altro dei tratti distintivi del suo pensiero. Evitare il decimo default della storia argentina è, in ogni caso, il principale obiettivo del governo, considerato il precipizio finanziario che si prospetta e le cui cure draconiane sembrano alquanto azzardate.

 

Articolo uscito su Quindici, la nostra rivista bimensile, il 14 dicembre.

 

Nella foto Javier Milei

Foto Ansa