Violenza economica

Quando si parla di violenza di genere non è raro pensare soprattutto a femminicidi, stupri o aggressioni fisiche. Eppure, trattandosi di un fenomeno sistemico ha molto più a che fare con la cultura che con le scelte dei singoli. Questo significa che esistono tantissime forme di discriminazioni che quasi sempre si sovrappongono e rischiano di anticiparne altre. Una di questa è quella economica, che, fino a poco tempo fa, era catalogata come una forma di abuso emotivo o psicologico; mentre oggi, con la sentenza 19.847 del 22 aprile 2022 è stata equiparata alla violenza fisica nell’ambito del reato di violenza domestica.

Anna Rita Cuppini, direttrice generale di OpenGroup, che cosa s’intende quando si parla di violenza economica?

«Il Consiglio d’Europa nel 2011, con la convenzione di Instanbul, ne ha fornito una definizione: un comportamento che causa danno economico a una persona impedendole di acquistare, usare o mantenere le proprie risorse finanziare. Si tratta di un forte grado di limitazione e per noi, come associazione, è una delle violenze più subdole con cui ci troviamo a lavorare oggi»

Perché?

«Perché è una di quelle più permeata nella nostra società e nelle  nostre percezioni secondo cui la finanza non è una materia che appartiene alle donne»

E come si manifesta?

«In primis a livello culturale e educativo; se infatti non sono mai stata educata a prendermi cura delle mie finanze, è chiaro che tenderò sempre a delegare; di conseguenza diventa anche complesso capire quando si sta subendo un abuso. Nei casi di separazione o divorzio, le persone che pagano di più forme di violenza economica sono quelle che non si sono mai occupate delle finanze. Poi ci sono fattori sociali; infatti statisticamente le donne sono quelle che rinunciano di più a lavorare, sempre a causa di fattori culturali e sociali che facilitano queste scelte per le donne. Dunque ci sono persone che, non disponendo di finanze proprie, sono più soggette a questo tipo di violenza. Infine c’è la violenza più aggressiva quando qualcuno esercita su un’altra persona una vera e propria limitazione impedendole di accedere al proprio reddito»

Da cosa sono caratterizzate le storie di violenza economica?

«Si parte da un background di non alfabetizzazione finanziaria che prescinde dalla propria condizione sociale o il luogo di provenienza o l’età. Rispetto al numero totale delle persone che si rivolgono ai centri di anti violenza, il 30% denuncia di aver subito anche violenza economica, mentre secondo una ricerca di WeWoman, il 49% delle persone intervistate ha dichiarato di esserne stata vittima almeno una volta nella vita».

Cosa si può fare per prevenirla e cosa sta facendo a oggi OpenGroup?

«L’educazione finanziaria rappresenta il primo approccio, che deve partire sin dai primi anni. Se i bambini si approcciano da subito a questo tema, per esempio attraverso lo strumento della paghetta, per le bambine è diverso e i soldi vengono dati all’occorrenza. Ma non solo le donne; un altro passo essenziale è educare i funzionari bancari, per esempio, perché sono loro che hanno la possibilità di accedere a indicatori per segnalare casi di violenza economica: se per esempio una donna non va mai allo sportello da sola; se viene accompagnata dal marito per ritirare lo stipendio; o ancora se firma documenti di società del marito o compagno di cui non è perfettamente a conoscenza. Spesso, infatti, capita che le donne vengano utilizzate come prestanome e nel momento della separazione scoprono di essere titolari di un’azienda in fallimento».

 

Foto concessa dall'intervistata