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Doveva essere lo strumento “svuota carceri” e un mezzo per permettere ai detenuti di avviarsi verso il percorso rieducativo della pena sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Il braccialetto elettronico, o cavigliera visto che nella maggior parte dei casi viene applicato sulle gambe dei soggetti monitorati, è da anni motivo di discussione. Fin dal 2001, con la sua prima previsione, ha destato grandi aspettative. Il suo utilizzo, esteso dal Codice Rosso del 2019 come mezzo di controllo nel caso di reati di violenza di genere sta migliorando la percezione di sicurezza delle donne. Tuttavia, se doveva essere uno strumento di alleggerimento della pressione sugli istituti penitenziari non sembra aver raggiunto i risultati sperati. «Un ampio ricorso all’uso del braccialetto elettronico consentirebbe di deflazionare il numero delle presenze in carcere, incidendo positivamente sulla cronica e strutturale criticità del sovraffollamento», spiega Antonio Ianniello, garante per i diritti delle persone private della libertà personale di Bologna. «Il tema, irrisolto, del sovraffollamento – prosegue – sta tornando a presentarsi in maniera severa: durante la recente stagione estiva all’istituto penitenziario della Dozza erano presenti circa 800 persone a fronte di una capienza regolamentare di 502. Si è dovuto procedere alla temporanea sospensione degli ingressi in carcere».

Passati ormai circa ventidue anni dalla comparsa del braccialetto elettronico, a Bologna come nel resto di Italia, dobbiamo constatare che l’aspettativa iniziale è stata delusa. Secondo il XIX rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone nelle carceri italiane ci sarebbero «oltre 9 mila persone in più rispetto alle capienze effettive». Nel nostro Paese la sorveglianza elettronica può essere applicata in diversi modi all’interno del sistema penale: è imposta dal giudice a persone soggette alla misura cautelare degli arresti domiciliari (articolo 275 bis del c.p.p.) e che quindi sono ancora in attesa di una sentenza di primo grado, oppure a persone già condannate che stanno scontando la pena in detenzione domiciliare. Secondo il XVIII rapporto dell’associazione Antigone dal 2014 al 2021 i provvedimenti con controllo elettronico per i casi di detenzione ai domiciliari, cioè a condanna avvenuta, sono stati 5.625. Un incremento significativo si ha nel 2020 con il cosiddetto provvedimento “Cura Italia” emanato in seguito alla pandemia da coronavirus: si passa dai 251 provvedimenti del 2019 ai 2.605 di quell’anno. Per quanto riguarda, invece, l’applicazione a soggetti in attesa di giudizio, basti pensare che, in termini percentuali, nel 2020 il braccialetto elettronico è stato applicato nell’11,9% dei 21.949 casi totali. Decisamente un numero esiguo se il fine era quello di una riduzione dei detenuti in carcere. Gli ostacoli a un utilizzo più copioso del braccialetto elettronico sono anche tecnici come denuncia Maria Grazia Tufariello, avvocata penalista e tra i soci fondatori della Camera Penale di Bologna. «Il dispositivo elettronico funziona con un controllo satellitare che si aggancia alla linea telefonica – dice Tufariello – e questo comporta che nelle zone dove il satellite non riesce a collegarsi con il braccialetto il giudice non può concedere il beneficio degli arresti domiciliari e il soggetto resta in carcere». Un’altra problematica, risalente ai primi anni 2000 è quella della disponibilità. Dopo una prima fase di sperimentazione nel 2003 la Telecom si aggiudica la gestione dello strumento e per otto anni diviene il gestore esclusivo dell’intero servizio. Secondo la deliberazione della Corte dei conti (n. 11/2012/GC) al 31 dicembre del 2011 i braccialetti elettronici attivati sono in tutto quattordici con un costo complessivo di 81,3 milioni di euro. In pratica, in otto anni ogni braccialetto è costato allo Stato quasi 6 milioni di euro. Nonostante il disastro economico, prosegue la Corte dei conti, nel 2012 la stessa Telecom si aggiudica il rinnovo del contratto fino al 2018 per la fornitura di duemila braccialetti. Nel dicembre 2018 è poi Fastweb a vincere l’appalto per la fornitura di circa mille braccialetti al mese fino al 2021, per un costo totale di 23 milioni di euro. Secondo la relazione tecnica del decreto-legge “Cura Italia” al 15 maggio 2020, cioè dopo sedici mesi di contratto, se ne conteggiano appena 2.600, cifra ben lontana dai 16 mila che a quella data avrebbero dovuto essere disponibili. La colpa, però, non è dell'azienda perché il quantitativo di mille dispositivi al mese non è predefinito bensì dipende «da quanto richiesto di volta in volta dal ministero dell’Interno in conseguenza delle richieste dei magistrati – sottolinea in una nota Fastweb, che prosegue – la remunerazione avviene solo per le attività svolte e in nessun caso è stata disattesa una richiesta di attivazione». Sulla questione fa chiarezza la Procuratrice aggiunta di Bologna, Lucia Russo. «La carenza dei dispositivi è una tematica del passato. I contratti stipulati dal ministero dell’Interno, ad oggi, hanno una copertura sufficiente rispetto al fabbisogno mensile sia a livello nazionale che locale. Non ci risultano carenze in questo senso. Le problematiche possono essere di altro genere come la scarsità del segnale in alcune aree che non permette il funzionamento del dispositivo». Nel 2019 con l’entrata in vigore del Codice Rosso il braccialetto elettronico viene esteso come mezzo di controllo anche per la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla parte offesa (articolo 282 ter comma 1 del c.p.p.). «Il Codice Rosso ha aumentato la sensibilità degli operatori e ha imposto una velocizzazione delle indagini, con una risposta più rapida delle autorità competenti. Questo intervento legislativo ha permesso di conquistare una maggiore fiducia delle donne vittime di violenza che ora si rivolgono con più facilità ai centri appositi», spiega Susanna Zaccaria, avvocata e presidente della Casa delle Donne di Bologna. «Nel nostro territorio – prosegue - c’è una rete che funziona: come associazione abbiamo più di 800 donne all’anno che si rivolgono a noi e questo significa che c’è una maggior propensione nel chiedere aiuto». Zaccaria sostiene che negli ultimi anni, grazie a una sensibilità più acuta dell’autorità giudiziaria, c’è stato un notevole incremento dell’applicazione delle misure cautelari per fronteggiare i reati di genere. Con riferimento al solo reato di stalking, per esempio, le misure cautelari richieste dalla Procura di Bologna, sono passate dalle ottantacinque dell’anno giudiziario 2021 alle centotrentatré dell’anno giudiziario 2023. Il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, in un’intervista al Corriere della Sera ha evidenziato l’importanza di un uso maggiore del braccialetto sostenendo che «dovrebbe essere uno strumento autonomo, cioè applicato a prescindere dalla misura cautelare, e non un provvedimento accessorio». Allo stato attuale, riferiscono dalla Questura di Bologna, ci sono quarantatré persone sorvegliate con braccialetto elettronico di cui 4 per stalking associate a 12 soggetti molestati. La Polizia fa anche sapere che in quest’ultimo caso se scatta l’allarme per una violazione del divieto di avvicinamento gli agenti intervengono sul luogo in circa 7-8 minuti. Inoltre, assicurano che in caso di manomissione o malfunzionamento si sostituisce il bracciale in massimo quarantotto ore. Ciononostante, i disguidi tecnici sono dietro l’angolo. Ne sa qualcosa il trentenne, su cui grava un divieto di avvicinamento per maltrattamenti a un parente, che a Bologna ha manomesso la cavigliera a causa di un infortunio sul lavoro. Il gip aveva disposto il ripristino dell’apparecchio per permettergli di tornare a lavorare. Non essendo stato possibile fissare un appuntamento con i tecnici per sostituirlo l’uomo si è visto aprire le porte del carcere. Per l’avvocata Rossella Mariuz, vicepresidente di Unione Donne in Italia Bologna a contribuire a un più largo uso delle misure cautelari nel territorio è intervenuto anche il femminicidio, dello scorso 23 agosto, di Alessandra Matteuzzi, la donna massacrata dall’ex-fidanzato a colpi di martello sotto la sua abitazione e per cui è in corso il processo davanti la Corte d’assise di Bologna. «Dopo un anno dal caso Matteuzzi le misure di allontanamento e divieto di avvicinamento vengono emesse in tempi molto brevi, circa quindici-venti giorni dalla denuncia. In molti casi viene aggiunto lo strumento di monitoraggio del braccialetto, previo consenso dell’indagato, con la consegna di un secondo dispositivo (simile a un cellulare) alla persona offesa in modo che possa sapere se il soggetto si trova nelle vicinanze. Uno strumento in più per tutelare le donne», dice l’avvocata, che sottolinea anche quanto sia importante che le autorità siano in grado di riconoscere le situazioni di rischio. «A Bologna c’è una maggior sensibilità e volontà della Procura e del Tribunale verso l’applicazione di questi dispositivi. In altre zone, purtroppo non è così». A fare eco alle parole dell’avvocata Mariuz è Zaccaria quando conferma che «la differenza la fanno i dirigenti: sia il procuratore capo Giuseppe Amato che la procuratrice aggiunta Lucia Russo hanno dato un’impronta di tutela diversa. C’è un dialogo costante e un rapporto di reciproca collaborazione. La Procura di Bologna, insieme alle forze dell’ordine, hanno una sensibilità particolare a questi temi. Riescono a capire quali siano le situazioni di maggior pericolo». In questo senso è importante l’esperienza della Procura bolognese che dal 2019, spiega Lucia Russo, «è stato il primo ufficio in Italia, che sulla valutazione del rischio che corre la vittima, ha imposto alle forze di polizia la compilazione di una scheda chiamata S.a.r.a., ossia “Spousal assault risk assesment” (Valutazione del rischio di aggressione al coniuge)». Questo mezzo consiste essenzialmente in una lista di parametri che aiutano la polizia giudiziaria a capire se e quanto un uomo che ha agito violenza nei confronti della propria partner o ex-partner è a rischio di nuovi maltrattamenti. L’attività, inoltre, si allarga anche alla prevenzione di questo tipo di reati andando a tutelare anche i potenziali aggressori. «Abbiamo divulgato un avviso agli uffici di polizia da consegnare ai soggetti coinvolti in questi fatti, anche se ancora non indagati, con l’elenco di tutte le strutture che si occupano di percorsi per l’uscita dalla violenza», prosegue la procuratrice aggiunta. Il problema fondamentale sembra essere quello della formazione dei giudici, dei pm e della polizia giudiziaria che devono essere in grado di riconoscere e valutare prontamente il rischio per la donna così da poter intervenire con le misure più adeguate, tra cui il divieto di avvicinamento con braccialetto, nel minor tempo possibile. Un tempo che troppo spesso fa la differenza tra la vita e la morte.

 

Nell'immagine un braccialetto elettronico. Foto: Polizia di Stato