scontri di piazza
Ilaria e Giulia si stringono in un abbraccio. Alle spalle le gigantografie dei segni lasciati sui loro corpi dai colpi che il 6 dicembre i membri dei collettivi, Plat e Cua, hanno ricevuto dalle forze dell'ordine tra via Irnerio e via Centotrecento. «Quanto accaduto è inaudito, un gesto scellerato», ha detto Ilaria, 26 anni, studentessa di italianistica all'Università di Bologna. Lei è una delle persone che quella sera, durante il corteo con cui chiedevano spazi d'abitare, sono state caricate dalle forze dell'ordine in tenuta antisommossa «senza motivo», ha sostenuto. Così è iniziata la conferenza stampa tenutasi questa mattina all'angolo delle due vie dove si è compiuta l'aggressione.
«È stata una giornata in cui la violenza si è manifestata in tanti modi - ha spiegato, riferendosi agli sgomberi di quella mattina effettuati, senza preavviso, in via Corticella 115 e in viale Filopanti 5/A, dalla Polizia di Stato. Nell'edificio dell'Ausl (Azienda unità sanitaria locale) e nell'immobile dell'ex istituto Zoni, infatti, avevano trovato casa, temporaneamente, studenti e famiglie che, invece, dopo l'evacuazione, si sono trovati di nuovo senza un tetto sopra la testa. «C'erano anche dei bambini, si sono trovati in mezzo alla strada in piena emergenza freddo». E poi la violenza che l'ha vista coinvolta: un poliziotto le ha sferrato un calcio in mezzo alle gambe. «Sono stata colpita - ha continuato Ilaria - Un poliziotto ha abusato del suo potere. Lo si vede dalle foto scattate quella sera. Un uomo della polizia, addestrato a colpire con precisione, mi ha presa a manganellate, e poi quel calcio alle mie parti intime. Io credo che sia stato intenzionale, mi ha colpita per "rimettermi al mio posto"». Attorno a lei gli attivisti dei collettivi, molti di loro mercoledì scorso erano presenti, hanno visto; alcuni di loro portano su di sé le ferite di quella sera e le mostrano nelle foto che tengono tra le mani. Sono lì per sostenerla nella sua scelta di denunciare l'accaduto. «Io dico no. Io sono nelle piazze, alzo la testa, la voce. Io denuncio. Loro sono qui per sostenermi». Poi è intervenuta una delle due avvocate di Ilaria, Marina Prosperi: «Le foto permettono di riconoscere l'agente, non accade sempre. Ma noi vogliamo sapere a chi attribuire la responsabilità: l'ordine è partito. Perchè quella persona ha avuto la libertà di comportarsi in questa maniera? Spero che non ci sia nessuna richiesta di archiviazione». Silenzio, hanno fatto parlare le immagini. Poi, poco prima che il gruppo si disperdesse, alcune voci si sono levate in coro: «Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce». In serata il commento del sindaco Matteo Lepore: «Spero chiaramente che vengano date tutte le risposte e si chiariscano i metodi di intervento che sono stati messi in atto. Credo che le nostre istituzioni democratiche abbiano tutti gli strumenti per affrontare un argomento come questo, se ci dev'essere chiarezza, la si farà e io spero, chiaramente, che vengano date tutte le risposte; che si chiariscano i metodi di intervento messi in atto. Non ho molto altro da aggiungere. Quelle che abbiamo visto sono scene che non vogliamo si ripetano. Cali la tensione in città. Stiamo tutti lavorando in questa direzione», ha concluso il primo cittadino.
Nell'immagine Ilaria. Foto di Alessia Sironi