Ambiente

«Se la perdita e lo spreco di cibo fossero un Paese, sarebbe la terza maggiore fonte di emissioni di gas serra», scrive Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’United Nations Environment Programme, nel report 2021 sullo spreco alimentare. Ma tra le campagne della Pianura Padana dal 2018 il cibo scartato dalle tavole del capoluogo emiliano-romagnolo diventa una risorsa per la collettività. Nell’impianto di Sant'Agata Bolognese, proprietà della multiutility Hera, i rifiuti organici diventano carburante pulito ed energia. La struttura è coinvolta in un'iniziativa al cui centro ci sono sostenibilità e decarbonizzazione della città. Il progetto si chiama “Insieme per una città circolare” ed è stato siglato nella primavera del 2022 da tre grandi aziende operanti sul territorio: Tper, Aeroporto Marconi e Hera.

 

L'investimento di trentasette milioni di euro del Gruppo Hera per la costruzione dell’impianto si è tradotto, dal 2018, a renderlo il primo in Italia per produzione di biocarburante su scala industriale. Infatti, lì viene prodotto biometano, un combustibile rinnovabile al 100%, che risparmia all’ambiente emissioni di più di quattordici mila tonnellate di Co2 e sei mila tonnellate di petrolio greggio. Il prodotto principale dell’impianto non solo alimenta parte della flotta di Tper, ma è disponibile anche per i cittadini in alcune stazioni di servizio convenzionate. Al momento, cinque di queste si trovano in città, mentre altre sono distribuite nei territori metropolitani vicini come Castenaso, Casalecchio, Molinella e Imola. Inoltre, come riporta Hera: «Molte auto aziendali del Gruppo, circolanti soprattutto sul territorio di Bologna, sono alimentate a biometano e sono facilmente individuabili grazie a una nuova grafica che esalta e valorizza la sostenibilità del biocarburante». Parte del progetto tra le tre grandi aziende prevede il rifornimento di alcuni mezzi di Tper proprio con il gas di Sant'Agata. Tra le prime attivate lo scorso anno ci sono la linea speciale 944, che collega l'Ospedale maggiore all’aeroporto, e la linea notturna 940 della società Marconi Express. Nei primi mesi dall’avvio della partnership “Insieme per una città circolare” gli autobus verdi — che si distinguono dalla classica colorazione rossa di Tper — erano dodici. Oggi, il biometano copre circa il 60% del fabbisogno di metano utilizzato per alimentare il parco veicolare che viaggia nell’area metropolitana a gas naturale. «Rispetto ai 9,7 milioni di chilometri percorsi dai 302 bus a metano bolognesi di Tper nel 2022, 5,9 milioni di chilometri sono stati effettuati con biometano» riferisce l’azienda. Quella del carburante prodotto a Sant'Agata si inserisce in un mosaico di soluzioni, che promuove la transizione energetica del trasporto pubblico verso una dimensione sempre | meno impattante della mobilità. Altro importante attore di questo progetto di economia circolare è l’aeroporto Marconi di Bologna. Dora Ramazzotti, referente del comitato di sostenibilità dell'azienda, sostiene l’importanza e l'impegno dell’aeroporto in progetti legati alla riduzione delle emissioni, essendo l'aeroporto un soggetto altamente inquinante. «L’accordo con Tper e Hera non è un'iniziativa spot, ma si inserisce in un ampio progetto di interventi che hanno dato risultati significativi», specifica Ramazzotti. Negli ultimi anni, si è ridotta del 30% la percentuale dei dipendenti dell’aeroporto che raggiungono il posto di lavoro con mezzi privati. Inoltre, i lavoratori — grazie a una convenzione con Tper — hanno a disposizione un titolo di viaggio che comprende gli autobus della zona urbana, People mover e treni della ferrovia metropolitana che collegano le zone suburbane. Il ruolo del Marconi nell’accordo con Hera e Tper è il conferimento della frazione di organico alla multiutility, che una volta trasformata in biometano, ritorna all’aeroporto impattando positivamente in termini di ridotte emissione di Co2 e di consumo di carburante fossile. Migliore è la raccolta differenziata, maggiori i guadagni — in termini ambientali — di cui tutti possono godere. Da qui, l’impegno del Marconi alla sensibilizzazione di dipendenti e viaggiatori che ogni giorno transitano tra gli imbarchi e i punti vendita dell’aeroporto.

 

Tra gli obiettivi del progetto “Insieme per una città circolare” c’è la decarbonizzazione della città, ovvero la riduzione fino allo smantellamento di un sistema che si affida alle fonti fossili, che non sono rinnovabili e spesso altamente inquinanti. Bologna è stata inserita tra le cento città europee che mirano alla neutralità climatica entro il 2030, quindi in anticipo di venti anni rispetto agli obiettivi fissati dall'Unione Europea. Al progetto di economia circolare si affianca anche Cirfood, Cooperativa italiana di ristorazione, che coinvolge 269 cucine in tutta Italia. Non sempre gli sprechi alimentari sono evitabili, quindi nel 2022 grazie a un accordo con Hera, ventiquattro ristoranti hanno conferito alla multiutility i loro scarti. Mentre 245 cucine hanno destinato all’azienda gli oli esausti, che vengono poi trasformati anch’essi in un altro tipo di biocarburante. 

 

Quel che differenzia il biometano e ciò che lo rende davvero ‘bio’ è la sua origine organica e biologica. A differenza dei gas estratti trivellando il terreno, è una risorsa inesauribile e totalmente rinnovabile. Quello del biometano è un viaggio circolare, che parte dalle tavole dei bolognesi e che, passando attraverso una corretta raccolta differenziata, prosegue a una trentina di chilometri dalle Due Torri, a Sant'Agata. La produzione di gas rinnovabili, come il biometano, è importante per limitare le emissioni di gas climalteranti, che da decenni contribuiscono a danneggiare la Terra. Nell’ottica di rendere l’ambiente cittadino, e non solo, più sostenibili, nel Piano industriale di Hera del febbraio 2023, si legge l’impegno ad aumentare la produzione da otto milioni di metri cubi a ben dodici milioni di biometano entro il 2026. Questo sarà possibile grazie a nuove partnership dell’azienda, come quella con Inalca, società del Gruppo Cremonini, azienda produttrice di carni.

 

Ma com'è possibile trasformare gli scarti alimentari in carburante pulito? Cento mila tonnellate di rifiuti organici — più trentacinque mila di sfalci e potature — raggiungono l’impianto. La struttura sorge all’interno di un sito di compostaggio preesistente ed è concepita per armonizzarsi con il territorio circostante. Ideata per minimizzare l’impatto acustico e limitare gli odori, ha anche «un rivestimento esterno decorativo ispirato a quello che accade all’interno dello stabilimento. Decorazioni che richiamano un terreno arido, dalle cui crepe fiorisce della vegetazione, che richiama le trasformazioni cui è sottoposto il prodotto organico dentro l’impianto», spiega Hera. Una volta arrivati i rifiuti subiscono un processo di pretrattamento, per dividere quelli che possono essere riciclati da quelli che vanno scartati. Poi le strade della frazione organica e quella di sfalci e potature si dividono di nuovo. Alla fine di diverse lavorazioni daranno vita a due prodotti diversi: la prima al biogas, mentre i secondi a venti mila tonnellate compost, un biofertilizzante destinato all’agricoltura. Seguendo il viaggio dei sacchetti di organico, una volta accertato che siano interamente riciclabili, vengono triturati e inviati attraverso un sistema di tubi e pompe a quattro digestori orizzontali. Si tratta di grandi cisterne di un diametro di dieci metri e una lunghezza di trentadue, che mantengono una temperatura costante di cinquantacinque gradi. Lì i rifiuti tritati riposano “nella pancia della balena” per ventuno giorni. Ma a infastidirli ci sono dei batteri che “mangiandoli” li riducono a uno stato di putrescenza. È quest’ultima che, grazie alla temperatura costante e ai batteri, consente la creazione del biogas. Tale processo prende il nome di fermentazione batterica anaerobica, cioè che avviene in assenza di ossigeno. Il suo prodotto, il biogas, è una miscela di metano e anidride carbonica che, per diventare totalmente green, necessita di un processo di purificazione. Questa fase, che prende il nome di upgrading, separa la miscela sciogliendo l'anidride carbonica con acqua pressurizzata. A questo punto, quelli che ventuno giorni prima erano sacchetti di umido sono diventati biometano, una fonte d'energia totalmente rinnovabile. Al termine del processo, alla parte solida che rimane nei quattro digestori orizzontali viene aggiunto del materiale lignocellulosico, scarti vegetali. La massa, che subisce una fase di compostaggio, diventerà poi terriccio o fertilizzante naturale per le aziende agricole.

 

Nell'immagine, l'impianto di Sant'Agata per la lavorazione degli scarti alimentari - Foto fornita da Hera 

 

Questo pezzo è già stato pubblicato nel numero 6 del Quindici, il bisettimanale di InCronaca, del 28 aprile 2023