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«Non so che cosa ci riserva il domani. Saranno sicuramente anni difficili. Noi però in un modo o nell’altro andremo avanti, anche con i gomiti. Non ci arrenderemo mai». Sono parole di dolore, ma anche di tenacia, speranza e amore per il territorio quelle di Giuseppe Cazzani (68 anni), uno dei tanti agricoltori emiliano-romagnoli costretti a fare i conti con il disastro causato dalle settimane di maltempo di maggio. La devastazione dei campi, la decimazione dei raccolti e una preoccupante modifica della composizione chimica del terreno, dovuta al deposito di fango, argilla, sabbia, limo e altri materiali, fanno della storia di Cazzani, agricoltore di Vedrana di Budrio, solamente una delle migliaia di tessere che compongono l’immagine di un settore in ginocchio. Per avere un’idea del problema bastano i numeri forniti da Coldiretti Emilia-Romagna: delle 28mila imprese agricole associate, oltre 3.800 sono state danneggiate dalle esondazioni dei fiumi, un dato cui si associa una stima approssimativa di oltre 900 milioni di danni riscontrati in varie località della regione tra cui il Ravennate, l’Imolese, il Forlivese-cesenate e la parte orientale della Bassa bolognese.

Ad oggi, riporta Coldiretti, è stato erogato un bonus di 3.000 euro come indennità per ogni lavoratore autonomo, mentre la Regione Emilia-Romagna ha programmato due bandi Psr (Programma di sviluppo rurale) per l’erogazione di 21 milioni (quindici milioni per il bando 2014-2022, sei per il bando 2023- 2027). Per quanto riguarda i soldi che dovranno arrivare dal governo, come fa notare il vicedirettore di Confagricoltura Bologna Marco Casali, occorre intanto che il commissario Figliuolo, il cui approccio è finora apparso a sindacati e agricoltori «metodico, serio e razionale», dia al più presto una lista di procedure da applicare prima di inoltrare la richiesta dei ristori finalizzati alla ricostruzione.

Al momento, riporta il vicedirettore di Confagricoltura Bologna, è arrivata da parte della struttura commissariale una bozza del piano che, in assenza di particolari obiezioni o di cambiamenti radicali nel contenuto, potrebbe entrare in vigore nei primi giorni di novembre. Solo in questo modo, prosegue Casali, «si potrà fare una quantificazione esatta dei danni, analizzando caso per caso, un’operazione talmente complessa e articolata da richiedere molto tempo e un dispiego di energie, risorse e tecnici impressionante».

Considerando i vari tipi di colture che rendono l’agricoltura emiliano-romagnola un settore d’eccellenza, è soprattutto l’ambito ortofrutticolo ad aver riportato le perdite più significative. Si tratta di un settore molto delicato, che i cambiamenti climatici avevano già messo a dura prova, prima con la siccità del 2022 e poi con l’alluvione di quest’anno. Il risultato più preoccupante, registrato in alcuni impianti in Romagna (a cominciare dal Ravennate dove il problema di ristagno idrico è stato più evidente), è stato la distruzione dei frutteti con la conseguente morte delle piante, un problema che, per essere risolto, richiederà almeno due o tre anni di lavorazione (la cosiddetta “fase di allevamento”), un lasso di tempo in cui non si potrà parlare né di produzione né di reddito.

Anche Copagri Forlì-Cesena, interpellata sul tema, conferma la difficoltà: nella provincia sono almeno 70 le aziende agricole associate che hanno perso raccolti, attrezzature, cui si aggiungono danni indiretti, la cui stima è difficilmente quantificabile. Per le coltivazioni la cifra si aggira sui 15 milioni di produzione lorda vendibile persa: le colture maggiormente colpite sono quelle da seme, frutteti e vigneti. Purtroppo, i danni non si limitano alle sole coltivazioni di frutta. Un esempio è proprio la storia di Cazzani, la cui società agricola produce frumento tenero e mais: dei 500 ettari di terreno appartenenti alla sua azienda, la metà è stata devastata dallo straripamento dell’Idice e 150 ettari (questi collocati vicino al ponte della Motta) sono completamente persi. Facendo una stima approssimativa delle mancate entrate riguardo al 2023, Cazzani dice di aver perso circa un milione di euro, un danno riscontrabile non solo nei campi, ma anche nelle strutture dell’azienda: «La violenza e la potenza dell’acqua hanno reso inutilizzabili quattro fabbricati tra case coloniche e magazzini» racconta.

Un’altra storia da ascoltare è quella di Isacco Minarelli, 41 anni, che da più di vent’anni conduce l’azienda agricola di famiglia specializzata nella produzione di varie colture tra cui patate, cipolle ed erba medica. Come altri agricoltori che lavorano a Vedrana di Budrio, anche Minarelli è vittima dell’allagamento dei campi provocato dalla rottura dell’argine dell’Idice. Dei 200 ettari di terreno su cui lavorava prima del disastro, 70 sono stati sommersi dall’acqua e la maggior parte di questi (60 ettari) è ormai completamente persa. Considerando solamente quanto avrebbe ricavato dalla vendita del raccolto degli ettari di terreno allagati, Minarelli ha perso quest’anno 300mila euro e il 40-50% del raccolto.

Un aspetto preoccupante è anche il fatto che il maggior danno è stato rilevato nel raccolto delle patate e delle cipolle, i cui costi di coltivazione sono piuttosto elevati. Purtroppo, in molti casi sono riscontrabili danni a lungo termine. Essi si legano alla stagionalità dei prodotti poiché, come ha detto Tiziano Tassoni, responsabile relazioni industriali per Legacoop Bologna, «bisogna rendersi conto che i campi e le colture hanno i loro tempi e le loro regole; se io posso fare la semina per una determinata coltura solo in autunno e la perdo, non posso ritentare in primavera o in estate, ma devo aspettare un anno».

È una situazione drammatica quella che stanno vivendo gli agricoltori, come ben dimostra anche la manifestazione di Legacoop tenutasi a Ravenna il 16 settembre allo scopo di ottenere da parte del governo, dopo un’attesa di quattro mesi, una risposta concreta e rapida quantomeno per i primi interventi da fare. Agire il più velocemente possibile e con metodo è fondamentale per risollevare l’agricoltura emiliana, un bene prezioso a livello sia locale che nazionale, visto che, riportando le parole di Tassoni, «esso rappresenta un pezzo di Pil del Paese, oltre che un settore apprezzato in tutto il mondo per i suoi prodotti di altissima qualità».

 

Nell'immagine Giuseppe Cazzani, agricoltore. Foto concessa dall'intervistato