eutanasia

eutanasia

Esiste una legge in Italia che permette al paziente di rifiutare i trattamenti medici anche nel caso in cui questi determino la vita o la morte della persona in questione. Eppure, come chiunque probabilmente sa, non esiste alcuna tutela che permetta a chi si trova in situazione di particolare sofferenza di porre fine legalmente alla propria vita. Per questo una donna di 89 anni, Paola R., lunedì 6 febbraio è stata costretta ad andare a morire in Svizzera, da sola, senza il supporto e l’amore della sua famiglia che, altrimenti, avrebbe rischiato dai 5 ai 12 anni di carcere. La donna non era in coma ma di fatto la malattia le impediva qualsiasi movimento e per questo, totalmente consapevole, ha scelto questa via. Ne abbiamo parlato con Roberto Piperno, neurologo e fisiatra del Maggiore, ora alla Casa di Risvegli di Luca Coscioni.

 

Lei ritiene che in questo caso l’eutanasia sia una scelta condivisibile?

«È una questione assolutamente delicata e difficile da discutere perché non credo si possa fare un discorso generale che valga in tutti i casi. Credo che ci sia un elemento fondamentale e riguarda la capacità e volontà di una persona di gestire, affrontare e vivere la condizione di sofferenza laddove non esiste alcuna possibilità e recupero per il cambiamento di questa prospettiva».

 

Sta parlando, dunque, del diritto di ogni persona di autodeterminarsi?

«Esattamente. È un diritto assolutamente imprescindibile e riguarda anche la libertà di una persona di autodeterminarsi di fronte all’esperienza del dolore e della sofferenza e scegliere il proprio destino. Questa ovviamente non è una mia opinione ma a sostenerlo è la legge italiana e i trattati internazionali: c’è sempre la possibilità di sottrarsi ai trattamenti medici. Fare delle regole generali, però, che valgono per tutti è sempre rischioso. Ogni singola storia è a sé e il valore della libertà e della scelta va collocato nel contesto della condizione di salute, delle soluzioni che possono esserci e dei percorsi che si possono attivare. Bisogna essere assolutamente sicuri che tutte le risposte di salute e cura siano state tentate e che si siano messi in campo tutti gli aiuti per sostenere la persona in momenti difficili come questi».

 

Come ha affermato, in Italia esistono leggi che garantiscono alle persone malate di sottrarsi alle cure mediche; eppure, in virtù dei grandissimi passi in avanti fatti dalla medicina, sempre più gente è costretta a vivere in uno stato vegetativo. Solo a Bologna e provincia ci sono più di 200 persone in questa condizione. Secondo lei in virtù di questi cambiamenti c’è bisogno di una nuova elegge di cambiamenti a livelli istituzionali?

«Per prima cosa va ricordato che almeno il 20% delle persone considerate in stato vegetativo in realtà non lo sono. Si tratta di situazioni che sfuggono al controllo e quindi anche all’agire sanitario e medico. Detto ciò, credo che l’Italia – dopo la sentenza del 2007 di Eluana Englaro e dopo la legge del 2017 sul consenso informato e la disposizione anticipata di trattamento –  tuteli i diritti di queste persone. Va sottolineato, però che, la maggior parte delle volte le disposizioni anticipate di trattamento non sono così diffuse nella pratica corretta dei cittadini italiani e questo non è sicuramente un dato positivo».

 

E per quanto riguarda le persone come Paola R. che non si trovano in stato vegetativo, ma di fatto non hanno la libertà di esercitare il loro diritto di autodeterminazione?

«A tal proposito non mi sento di prendere una posizione bianca o nera».

 

Come mai?

«Il rischio maggiore che rivelo è che per mille ragioni - da quelle geografiche, sociali, economiche o anagrafiche - spesso ci sono degli ostacoli oggettivi nell’accesso alle cure. Per questo ribadisco la necessità di essere più che sicuri che tutte le strade possibili siano state percorse. Una volta che siamo certi di aver garantito a tutti l’accesso equo alle cure allora, dal punto di vista etico, io credo che possiamo sentirci completamente tranquilli di rispettare la scelta del o della paziente».

 

A volte quini non vengono garantite le cure necessarie?

«Purtroppo ci sono delle condizioni di partenza di oggettivo svantaggio in cui quest’eventualità esiste».

 

Foto Agenzia Ansa