Cannabis

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«È un sopruso, stanno andando contro i parametri fissati dall’Europa. Prima ti permettono di lavorare e dall’oggi al domani ribaltano le regole. Mi chiedo come sia possibile passare in così poco tempo da lavoratore a criminale». Andrea Piccinini, produttore da molti anni di canapa Cbd a Zocca in provincia di Modena, è infuriato. Punta il dito contro i piani alti, contro l’offensiva proibizionista portata avanti dal Governo che ha preso di mira la cannabis light, vietando la somministrazione orale di prodotti a base di Cbd, nonostante una sentenza della Corte di giustizia europea affermi il contrario. Per Piccinini, perché sono ormai anni che il settore viene bersagliato da questi attacchi: «Facendo la solita caccia alle streghe si finisce per favorire le economie estere alla faccia del Made in Italy, si preferisce sacrificare un buon prodotto italiano sull’altare della falsità. Sono davvero molto preoccupato, perché da un momento all’altro tutto il mio lavoro potrebbe andare in fumo. Per questo ho deciso di lottare e di rivolgermi alle associazioni di categoria per portare avanti la nostra battaglia».

Piccinini non è solo. Anche altri suoi colleghi hanno scelto di seguire la stessa strada. Si sono incontrati a distanza in 270 in una riunione convocata sulla piattaforma Zoom, il 13 settembre. «Quando fuori piove, ci si stringe tutti sotto lo stesso ombrello e si lavora insieme. Nonostante il rapporto di concorrenza delle nostre aziende, in questo momento ci stiamo impegnando per la sopravvivenza del settore» afferma il moderatore della riunione Mattia Cusani di Canapa Sativa Italia. L’attesa dell’inizio dell’incontro viene accompagnata da un po’ di musica reggae, consentendo alle duecentosettanta persone collegate di partecipare alla chiamata. A turno i loro volti vengono inquadrati dalla telecamera e tradiscono tutta la loro tensione. Sono sguardi di ogni genere ed età, attenti e allo stesso tempo preoccupati per ciò che succederà. Il fine ultimo dell’iniziativa, oltre a informare e fare il punto sulla situazione, è quello di raccogliere somme di denaro utili per sostenere i ricorsi contro il decreto.

Questo spirito di unione e coesione «come le multinazionali», espressione ricorrente negli interventi, appare una priorità. Concetto che viene ribadito anche dal dottor Mauro Iacoppini, consulente e perito chimico-tossicologo, che seppure ribadisca l’inefficacia stupefacente del Cbd, esprime la necessità per la categoria di tutelarsi con la dovuta documentazione. Infatti, il Cbd è anche utilizzato per realizzare oli, caramelle, integratori e tanti altri prodotti, che dal prossimo ventidue settembre diventeranno acquistabili soltanto in farmacia dietro ricetta medica. Una rivoluzione al contrario, decisa dal governo che, secondo produttori e negozianti, è priva di fondamento scientifico.

È la stessa Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) a specificare che questa non debba essere inserita tra le sostanze controllate, perché non crea dipendenza o danni alla salute. Tra i tanti che sono stati colpiti da questo provvedimento c’è anche Canapa Eccèlsa, azienda agricola che coltiva canapa nelle terre di Reggio Emilia e che realizza diversi prodotti naturali per la persona. «Mi sono inventato il mestiere – racconta il titolare – e ho creato un prodotto unico, realizzando delle creme spalmabili con il Grana Padano e il Taleggio. Su questo ci lavoriamo da quattro anni, con investimenti enormi e pagando il 22% di Iva. Mi chiedo perché lo possono vendere soltanto le farmacie. Ritengo che si tratti dell’ennesima buffonata, che materialmente non potrà mai passare come legge, per questo a differenza di altri ho deciso di non mobilitarmi perché, anche se dovesse passare, continuerò a vendere l’olio di Cbd come prima».

In piena sintonia su tutto, si registra una netta spaccatura tra coloro che negano la possibilità che il decreto vada in porto e gli altri più pessimisti: «Ragazzi, vi ricordo che serve l’aiuto di tutti, ogni contributo è utile per salvaguardare il nostro lavoro. Se lasciamo il nostro futuro nelle mani degli altri, siamo spacciati». O ancora: «Come vi aspettate di risolvere la situazione? Con quali soldi possiamo affrontare i ricorsi? Bastano trecento euro ciascuno, soltanto così potremmo avere il potere di alzare la testa e di urlare le nostre ragioni». Al termine della conferenza, in appena un’ora e mezza, vengono raccolti dodicimila euro, che costituiscono certamente un buon primo passo nel lungo percorso giudiziale, ma restano poca cosa se consideriamo i numeri complessivi del mondo della canapa. Ad oggi sul territorio nazionale ci sono oltre 2.000 punti vendita, con più di 800 partite Iva agricole specializzate e 1.500 aziende di trasformazione e distribuzione. In più, si stima che tra grandi e piccoli produttori all’interno di tutta la filiera ci siano 13.500 addetti coinvolti. Attualmente i prodotti a base di cannabis light si possono acquistare sia online che presso punti vendita, soprattutto negozi specializzati e tabaccai. Spesso vengono indicati come “prodotti per uso tecnico”, in questa maniera viene sfruttata una zona grigia della normativa italiana sulla canapa industriale che non vieta la loro commercializzazione.

Per studiare l’evoluzione del fenomeno, l’Osservatorio sulla Cannabis Cbd, di cui fa parte Davide Fortin, economista italiano dell’Università Sorbona di Parigi e ricercatore associato del Marijuana Policy Group, ha creato un questionario che ha ricevuto oltre diecimila adesioni tra Italia e Francia. Dai risultati è emerso che circa 1 consumatore francese su 4 afferma di aver utilizzato un prodotto italiano e la percentuale aumenta per quanto riguarda le infiorescenze. Sempre da questo studio risulta che, se si tenesse conto del numero di operatori, dei consumatori e della loro spesa media mensile che si aggira tra i € 40 e i € 70, il settore possa raggiungere un giro d’affari tra i 200 e 300 milioni all’anno, con conseguenze a cascata sia per l’occupazione, che per gli introiti fiscali dello Stato.

Non solo la mancata regolamentazione della cannabis light ha ridotto molto queste aspettative in entrata, ma ha anche incrementato lo spreco delle risorse di pubblica sicurezza. Convinta che sia questo il problema che danneggia il settore è anche la Federcanapa, l’associazione che raggruppa un’ottantina di produttori in giro per l’Italia, il suo presidente Beppe Croce risponde in maniera diretta: «Il problema della legge 242 del 2016 è quello di aver lasciato varie zone d’ombra, tra le quali il fatto di non aver mai nominato il fiore della canapa». Infatti, la legge non parla di fiori e loro estratti in maniera esplicita o di come distinguere la canapa light da quella con alto contenuto di Thc. Questo porta all’intervento delle forze dell’ordine quando, senza maggiori indicazioni, presumono di ritrovarsi di fronte alle varietà di cannabis stupefacenti con un impatto estremamente costoso sia per gli imprenditori che per lo Stato italiano. Conclude Croce tagliando corto sul decreto: «Il vero paradosso è vedere come un Paese da sempre contrario all’uso del fiore come la Francia, ormai abbia accettato l’uso industriale del Cbd non solo nella cosmesi, ma anche come integratore alimentare. Seguendo questo indirizzo, per assurdo potremmo avere integratori alimentari prodotti legalmente in un altro Paese europeo e venduti in Italia e nessun giudice si potrebbe permettere di farli sequestrare perché andrebbe contro la libera concorrenza». Così, mentre Paesi come la Germania o il Lussemburgo scelgono la via che va verso la legalizzazione, l’Italia imbocca la direzione opposta. «Questo è davvero inspiegabile – tiene a sottolineare Antonella Soldo di “Meglio legale” –, il nostro si conferma un Paese nemico di chi lavora! Ci si riempie sempre la bocca di come sostenere i giovani e l’agricoltura, ma per un mero pregiudizio ideologico, si preferisce assestare una spallata a un settore in cui ci sono investimenti economici e di vita di ragazzi, che da un giorno all’altro si vedono trattati come criminali».

 

Nell'immagine olio di Cannabidiolo. Foto: Pexels