violenza economica
Se dovessimo fare un paragone tra le ragazze e i ragazzi quindicenni, per quanto riguarda le conoscenze in ambito matematico, è come se le ragazze fossero andate a scuola un anno in meno. A dirlo è la ricerca Ocse Pisa che misura il livello di competenze di studenti e studentesse. Si tratta di un dato preoccupante, che conferma una secolare discriminazione delle donne per quanto riguarda le cosiddette “materie scientifiche”. Il dato è preoccupante, però, soprattutto perché queste discriminazioni rischiano di tradursi in reali disparità nella vita adulta e poi ancora in vere e proprie condizioni di subalternità.
La violenza economica è una delle modalità attraverso cui tale condizione si manifesta. «Da più di 20 anni lavoro in banca e, dal mio punto di osservazione privilegiato, mi sono accorta che esiste un grande problema di accesso al credito e in generale al mondo dei soldi da parte delle donne», racconta Aminata Gabriella Fall, divulgatrice finanziaria, consulente e founder della pagina Instagram @pecuniami.
Questa particolare tipologia di sopraffazione rappresenta anche una delle forme più subdole di violenza perché «la maggior parte delle donne che si rivolge ai nostri centri non lo fa per denunciare la violenza economica, ma a uno sguardo più attento, ci siamo rese conto che attraversa tutte o quasi le forme di violenza – spiega Loretta Michelini, presidente dell’associazione Mondo Donna Onlus – Nello specifico, la percentuale delle vittime raggiunge l’80% delle donne, soprattutto quelle con disabilità. Inoltre, abbiamo notato che quello della violenza economica rappresenta un grande tabù, nonostante sia un tema trasversale che si manifesta in diverse modalità: dalla donna a cui viene detto apertamente di non essere in grado di gestire le finanze, a quella che condivide il conto corrente con il marito ma non ha il bancomat, alla donna formalmente autonoma ma che subisce un controllo totale da parte del marito per quanto riguarda gli acquisti».
Inoltre, una categoria particolarmente a rischio è quella delle donne separate o divorziate; spesso «vengono inserite come garanti nei debiti del marito e il rischio è che perdano la casa ereditata dai genitori o che vedano diminuire le entrate a causa del pignoramento dello stipendio» spiega Fall. Per questo uno strumento poco diffuso, ma efficace, che potrebbe prevenire o contrastare la violenza economica, è l’educazione finanziaria, ovvero l’insieme di conoscenze che permettono di fare scelte informate in ambito economico e finanziario.
È lo scopo del progetto Monetine, promosso da Banca Etica. Si tratta di «una piattaforma che si pone l’obiettivo di mettere in connessione le donne ospiti nei centri anti violenza e le professioniste che vogliono fare formazione legata all’educazione finanziaria – spiega Lorenzo Giorgi co fondatore e direttore di Global Impact Network –. Abbiamo scelto come target le donne dei centri anti violenza perché spesso in questi luoghi le operatrici lavorano in completo affanno e raramente si ha il tempo di organizzare anche questo tipo di corsi».
Una delle insegnanti è Fall, che nello specifico si occupa «di fornire l’abc del linguaggio finanziario: si parte da come costruire il proprio budget e risparmiare, per passare agli strumenti veri e propri con lo scopo di capire la differenza tra un bancomat e una carta di credito, fra un mutuo, un prestito e un fido. Sono le conoscenze che permettono alle donne di riprendere in mano la loro vita finanziaria dalle basi». Infatti, non è raro che le donne che vivono nelle case rifugio non abbiano avuto la possibilità di acquisire questo tipo di strumenti: «sia l’esperienza nel contesto familiare sia quella nelle case rifugio non permettono alle donne di prendere consapevolezza al 100% di queste tematiche. Nei centri antiviolenza viene fornito tutto ciò di cui si ha bisogno, dalla casa, al nido, ai beni di prima necessità fino ai centri estivi per i figli e le figlie – continua Fall – Questo significa che alcune, una volta uscite dal centro, abbiano a che fare davvero per la prima volta con certe tematiche».
E in effetti la risposta da parte delle donne – ci ha spiegato Tania Berti, responsabile dei percorsi di reinserimento al centro antiviolenza Artemisia – è stata di assoluto entusiasmo. «Le ragazze riconoscono che si tratta di uno strumento conoscitivo importante che ha anche un effetto sul processo di autodeterminazione – continua Berti – L’effetto secondario, infatti, è quello di promuovere un processo di empowerment; le senti dire “anche io ce la posso fare e non ho bisogno di lui. So gestire un conto, amministrare i miei soldi e quindi posso prendermi cura dei miei figli” e questo ha un valore assoluto perché non dobbiamo dimenticarci che si tratta di donne a cui per anni è stato detto “non vali nulla, non sei niente, non te la caverai mai”», continua Berti.
Altrimenti una volta uscite dal centro «da una parte si rischia che la società confermi loro che davvero non sono capaci e che sarebbe stato meglio se fossero rimaste nella situazione violenta da cui sono uscite; dall’altra il pericolo è che non riescano davvero a far quadrare i conti», conclude Berti. Comunque, nonostante quello che si potrebbe pensare, racconta Fall «la cosa che mi ha più colpito di tutte le donne che ho conosciuto è che non ce n’era una che assomigliasse all’immagine che potevo essermi creata in testa. Immaginavo di trovare donne tristi, provate e traumatizzate; invece ho sempre trovato tantissima allegria e forza».
Ma ad essere educate e formate, secondo Fall, non dovrebbero essere solo le donne: «Nel momento in cui ho acquisito maggiore consapevolezza, mi sono resa conto di aver assistito, nella mia esperienza come banchiera, a tantissimi episodi di violenza economica». Il punto di vista di banchieri e banchiere è, infatti, di vitale importanza perché «chi sta dall’altra parte dello sportello può avere degli indicatori privilegiati per segnalare casi di violenza economica – racconta Anna Maria Cuppini direttrice generale di OpenGroup – per esempio la donna che non va mai allo sportello da sola, quella che viene accompagnata dal marito per ritirare lo stipendio, o la donna che firma documenti del marito di cui non conosce perfettamente la natura». E questo, educare “chi sta dall’altra parte dello sportello”, è proprio una parte del progetto di Banca Etica, insieme a Monetine.
Foto di Chiara Scipiotti