scuola

«Quattro non è la metà di 8,5, non una sottocategoria di sei. I voti non sono numeri, ma giudizi». Lo psicologo e psicoterapeuta Mattia Minghetti, esperto di sostegno all’adolescenza e consulente in più istituti del distretto metropolitano, commenta la sperimentazione "senza voti" che partirà da gennaio prossimo al liceo paritario Manzoni. E sulla novità non si dice d'accordo.

Dottor Minghetti, perchè?

«Il voto, se condiviso nella maniera giusta, può aiutare a crescere».

 In che senso?

«Da un lato perché è un mezzo per riconoscere la qualità del lavoro, fondamentale per uno studente. Dall’altro, perché forma la capacità giudicante dell’insegnante. Come si fa in una partita di calcio a non riconoscere mai i gol, ovvero le cose che sono stati vincenti? Piuttosto, il discorso è un altro: considerare in una maniera diversa la “vittoria” e la “sconfitta”».

Cioè?

«Vedo ancora insegnanti sbattere il voto in faccia all'allievo in maniera giudicante. Servirebbero corsi di formazione e poi accompagnare al valore numerico la sua lettura. Inoltre c'è un altro attore che deforma il suo significato».

 Chi?

«Le famiglie. La fobie scolastiche, così come le depressioni che nascono in questo contesto, accadono nella vita di ragazze e ragazzi che provengono da famiglie estremamente ansiose. A volte, prendere un cattivo voto e in casa gestirlo con ironia serve, e non solo: è giusto. Servono genitori che sappiano considerare i voti con le giuste proporzioni. Gli studenti più equilibrati sono quelli che hanno trovato il loro  posto di eccellenza nella scuola, come le relazioni o una materia in particolare, e sanno gestire il resto con equilibrio».

Quanto conta nella vita degli adolescenti la scuola?

«Tantissimo. E' circa l'80% della loro vita, molto di più di quanto rappresenti il lavoro per l'adulto. Lì per loro si annidano la maggior parte della relazioni, sia con i loro coetanei, che con il mondo adulto».

Qual è il rischio di una scuola senza voti?

«La mancanza di auto-consapevolezza. La cultura "senza voti", che nasce nei paesi nordici, si basa sull'idea che un’infanzia felice in cui non si incontra il giudizio possa aiutare l’autostima. Ma l’autoconsapevolezza, il riconoscimento di sé, è un valore più importante dell’autostima, che a volte può essere pericolosa in quanto ipertrofica».

C’è un modo per ovviare al rischio che i voti generino troppa ansia o stress da prestazione?

«La tecnologia aiuta, con il registro elettronico non c’è necessità di condividere il proprio risultato con un altro, a meno che non si voglia. Purtroppo, c’è da dire, che ci sono ancora professori a vecchio stampo che chiamano alunni alla cattedra. Questo deve finire».