Prezzi

I prezzi di prodotti primari come la pasta o il pane hanno subito un’importante impennata negli ultimi anni, prima a causa del Covid e poi del conflitto russo-ucraino. Nel 2021, infatti, il rincaro delle farine aveva raggiunto il 38%, come riportato da Federconsumatori. Un osservatorio pubblicato sul sito della stessa associazione quell'anno mette a confronto il prezzo di un chilo di farina nei mesi di marzo e ottobre: il prezzo sale da 0,79 a 1, 09 euro.

Tra giugno 2022 e giugno 2023 si registra una leggera variazione che si aggira all’8%, quindi ben più contenuta; tradotto si passa da 1,29 a 1,39 euro. Il prezzo della pasta, invece, – secondo Altroconsumo, l’organizzazione dei consumatori – è salito del 6%, passando da un prezzo medio di 1,59 euro al chilo di un anno fa a 1,69 euro del 2023. Due anni fa si aggirava su 1,28 euro. Il report cita alcuni esempi concreti, come quelli relativi agli spaghetti n.5 Barilla da mezzo chilo, che attualmente costano mediamente 0,97 euro a confezione, contro gli 84 centesimi di un anno fa. A giugno 2021 lo stesso pacco di pasta veniva pagato 0,66 euro.

Le cause di questo andamento oscillatorio e ondivago sono diverse. Il caldo estremo è solo una di queste. Eventi climatici estremi – come specifica Wired – hanno danneggiato in modo quasi esiziale i raccolti sia in Europa che in Canada, uno dei maggiori esportatori di grano duro al mondo. A ottobre, però, si è registrato un calo importante del prezzo, circa il 25%. In pochi mesi dunque è cambiato drasticamente lo scenario di mercato di un prodotto come la pasta che la fa da padrone nella maggior parte delle cucine italiane.

«Questa tendenza altalenante è dovuta a molti fattori – spiega il broker Marco Vivarelli – sia climatici che legati al mercato. La minore importazione di concimi dalla Russia che porta gli agricoltori a trattenere per sé le scorte (il fenomeno della ritenzione, ndr). L’inflazione che influisce sicuramente, non tanto in Italia (in cui si attesta attorno 5%, ma che scenderà secondo le previsioni al 2,7% nel 2024, ndr) quanto in paesi come l’Ungheria, in cui gli interessi sul denaro sono passati dall’8-9% al 18. Quello che impatta maggiormente però in questo momento sono i trasporti, aumentati del 40-50%. Se prima si poteva portare del grano dall’Ungheria al nord Italia con 30 euro a tonnellata oggi ne servono almeno 40 o 45. Questo, dunque, influisce sul prezzo finale del prodotto e sul prezzo della pasta. Per trasportare la merce quest’anno sono stati presi d’assalto i treni, perché il trasporto via nave ha subito delle gravi frenate per colpa del conflitto».

Il trasporto navale ha subito un blocco importante per via del rischio e del costo ormai esorbitante di ormeggio e assicurazioni. «In una zona di guerra come l’Ucraina – prosegue Vivarelli – un armatore chiede un premio per andare lì. Se prima un nolo poteva costare 25 dollari, adesso è arrivato a 35. È chiaro che questo influisce sul valore finale della materia prima da noi. L’Italia è un paese deficitario di mais e grano sia tenero che duro e questo fa aumentare la richiesta a fronte di un’offerta molto più bassa. Anche la Spagna che è un esportatore importante in Europa quest’anno ha avuto un raccolto disastroso e ha attinto a mercati esteri come quelli di Stati Uniti e Canada».

Un'indagine sui prezzi, però, non può non tenere conto di fenomeni 'silenti' in continua espansione come quelli della "sgrammatura" (shrinkflation in inglese), che porta i produttori a diminuire la quantità di prodotto all’interno delle confezioni (che passano, per esempio, da 500 a 400 grammi, come nel caso di alcuni marchi di pasta o di patatine), tenendo pressoché invariato il prezzo. Si tratta di rincari “occulti” o larvati che all’occhio di un consumatore poco accorto passano inosservati.

 

 

Foto Ansa.