Garisenda

«La giurisprudenza ci dice che, nell’ambito dei reati colposi di natura omissiva, anche una condotta di “trascuratezza” può essere sanzionata, indipendentemente dall’effettivo verificarsi di un crollo». Sulla scia degli interrogativi sorti dai verbali tecnici a corredo del dossier Garisenda del 2018, abbiamo chiesto un parere tecnico all’avvocato Guido Magnisi.

Tali documenti, attualmente al vaglio degli inquirenti in seguito all’esposto di Fratelli d’Italia, non lascerebbero adito a dubbi: il pericolo verso cui oggi si va incontro si conosceva già nel 2018 e di ciò era stato messo al corrente anche l’ex sindaco Virginio Merola. Non solo, già nei primi mesi del 2019 i tecnici del Comitato tecnico scientifico avevano sottolineato unanimemente di adottare il «criterio guida» della precauzione, consigliando di «predisporre uno specifico piano di emergenza ai fini della pubblica sicurezza», oltre a «limitare il traffico attorno alla Garisenda». Per poi arrivare, l’anno successivo, a decretare che il rischio di collasso della costruzione fosse «diecimila volte oltre la norma».

 

La domanda, così, sorge spontanea: qualora un pubblico amministratore riceva un simile allarme e non agisca tempestivamente, c’è il rischio che incorra in conseguenze penali?

«In astratto, norma di partenza è l’art. 434 del Codice Penale che prevede, in forma molto generica e indeterminata, il fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro: se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, il pericolo stesso, anche se non si realizza il crollo o il disastro, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Si tratta di un reato pur sempre doloso, che mette in pericolo di crollo un numero indeterminato di persone. Il reato può realizzarsi sia in forma commissiva sia in forma omissiva, qualora gravi sul colpevole uno specifico obbligo di garanzia, come quello di mettere in sicurezza la costruzione. In caso di condotta omissiva, deve pur sempre trattarsi di una omissione idonea di comportamenti che si sarebbero dovuti porre in essere per evitare il crollo o il disastro».

 

Ci spiega meglio?

«Si tratta di un delitto a consumazione anticipata, che prescinde dall’effettivo verificarsi dell’evento. Il dolo è sempre necessario, però, rispetto al reato di pericolo, basta anche soltanto il dolo eventuale. In altri termini, bisogna che il soggetto si rappresenti concretamente il rischio del crollo e ne accetti consapevolmente il rischio delle conseguenze. In sostanza, è una forma particolare di tentativo, se il disastro avviene l’evento crollo è una circostanza aggravante speciale. Tale articolo, inoltre, si deve integrare con l’art. 449 del Codice Penale, che punisce, questa volta a titolo di colpa (negligenza, imperizia, imprudenza), chiunque cagioni un disastro. Sicché, nel caso della colpa non è più un reato di pericolo, ma un reato vero e proprio di danno; danno, crollo, che deve avvenire, mettendo a repentaglio la pubblica incolumità. Nell’ambito colposo, e dunque non doloso, rileva solo la situazione in cui si sia realizzato effettivamente il disastro e non il mero pericolo: l’evento crollo si deve verificare, non basta il mero pericolo».

 

Il pericolo di crollo, in definitiva, può essere punito?

«È significativo che l’articolo seguente a quello sopraccitato (art. 450 c.p.) preveda anche i delitti colposi di pericolo, escludendo però il delitto colposo di pericolo di crollo, non punibile come tale. Se il crollo non avviene, dunque, la mera possibilità del pericolo di crollo non rileva anche se non si è stati attenti. In definitiva, il pericolo di crollo può essere punito solo se, in concreto, ci si rappresenti il rischio del crollo stesso, indipendentemente dal fatto che esso avvenga o meno, e se ne accetti il rischio senza nulla fare, sottovalutando questo stesso rischio: in questo caso si tratta di dolo eventuale. Questa riflessione prescinde ovviamente da ogni valutazione dei fatti di cui oggi si tratta nella nostra città».

 

Nell'immagine le Due Torri. Foto: Federico Iezzi