Post Brexit / 2
C'era una volta una grande potenza economica, ora c'è una nazione più povera. Il 3 dicembre scorso il "Centro di performance economica della London School of Economics" (LSE) ha pubblicato un report di 300 pagine sulla situazione economia del Regno Unito. Le notizie non sono affatto positive: secondo lo studio, 15 anni di stagnazione economica hanno lasciato la famiglia media britannica con circa 10.500 euro (circa 8.300 sterline) in meno rispetto ai vicini in Francia e in Germania. «Il Regno Unito ha vissuto 15 anni di relativo declino economico, la produttività è cresciuta la metà delle altre economie avanzate». Ma se fino al 2016 l’economia era solamente rallentata, la Brexit causò un vero e proprio terremoto monetario che divampa ancora oggi. In questo appuntamento della nostra serie sul controverso referendum, InCronaca cercherà quindi di raccontare come la Brexit ha cambiato in maniera permanente l’economia del paese d’oltremanica, peggiorandola.
Promesse infrante
Ai tempi del referendum, le varie campagne Leave (usciamo dall’Ue) facevano molte promesse alla popolazione. Una, divenuta celebre per i motivi sbagliati, era la promessa che uscendo dall’Ue lo Stato avrebbe potuto reinvestire più di 350 milioni di sterline a settimana (precedentemente allocate a spese europee) nel servizio sanitario nazionale del Paese, il National Health Service (Nhs). Fu una promessa lanciata su larga scala e addirittura appoggiata da Boris Johnson. Tuttavia, subito dopo la votazione, quelle famose 350 milioni di sterline scompaiono nel vuoto. Non se ne sentirà più parlare. Nelle parole di Anna Soubry, membra del Parlamento da conservatore, «dovrebbero tutti abbassare la testa e vergognarsi. C’erano molte persone, particolarmente in zone meno affluenti, che si sono fatte convincere dalla promessa del Leave, che, se fossimo usciti dall’Ue, avremmo potuto versare milioni e milioni in più nell’Nhs. Il problema è che adesso queste persone saranno ancora più disilluse con tutta la nostra classe politica, proprio perché questo gruppo di politici li ha ingannati». Un’altra grande tematica del referendum era l’immigrazione, dove la campagna Leave prometteva di arginare la manodopera straniera e ridare lavoro ai propri cittadini. Ogni anno, infatti, migliaia di lavoratori provenienti dall’Ue sbarcavano nel Regno Unito per svolgere lavori stagionali e poi tornare in patria. Eppure, come riportato dal Guardian, da quando il Regno Unito ha inasprito le frontiere, l’economia nazionale a oggi ha bisogno di circa 330.000 lavoratori. Posti liberi che ora non si possono più riempire facilmente.
Isolati nel commercio
Dopo il referendum, i governi conservatori di Theresa May e Boris Johnson cercarono di stabilire una nuova direzione per i commerci britannici. L’obiettivo era diminuire la dipendenza dall’Unione Europea, utilizzando l’autonomia geopolitica del paese per stabilire nuovi accordi mercantili con numerosi paesi come Australia, Stati Uniti e Giappone. Tuttavia, l’operazione ben presto si arenò. Gli accordi commerciali con l’Unione Europea post-Brexit non convinsero nessuna delle due parti, e un report della Camera di commercio britannica disse nel 2022 che «l’accordo non sta ancora funzionando come promesso per più di tre quarti delle nostre aziende». All’estero la situazione non era affatto migliore: gli accordi con l’Australia generarono controversie nel Regno Unito dato che le norme igieniche dei prodotti importati non corrispondevano ai requisiti legali nazionali; gli accordi con gli Stati Uniti non vennero mai implementati completamente; gli accordi con il Giappone diedero scarsi risultati. La Brexit dunque non ha solo ridotto il commercio del Regno Unito con Unione Europea, ma anche con molti mercati terzi, lasciando il paese sempre più isolato in un mondo sempre più interconnesso.
Covid, inflazione e crisi del costo della vita
L’ultimo fattore della crisi economica britannica nasce con la pandemia Covid-19, la guerra russo-ucraina e l’inflazione che seguì questi due eventi. Data la sua nuova posizione geopolitica, e anche grazie alla sua geografia, il Covid causò enormi disagi alla catena di approvvigionamento del Paese, che difficilmente riusciva a importare i beni di prima necessità indispensabili per la popolazione. È impossibile dimenticarsi le foto pubblicate sui social dei centri commerciali del Regno Unito durante i primi periodi della pandemia, completamente svuotati e privi di qualsiasi prodotto. Un clima apocalittico. Poi la guerra. Come in Italia, l’inflazione dilagante ha causato un incremento nel costo del cibo, delle utenze e degli affitti, che le fette vulnerabili della popolazione fanno tutt’ora fatica a gestire. Nel Regno Unito, la fusione di questi elementi viene chiamata la ‘Crisi del costo della vita’ (Cost of Living Crisis). Non si può anche qui incolpare la Brexit ma è certo che l’esito del referendum e le sue conseguenze abbiano lasciato il paese britannico nelle condizioni economico-sociali peggiori per affrontare le sfide attuali, senza contare quelle che attendono ancora all’orizzonte.
Foto: Ansa