1 dicembre

«Aids was allowed to happen. It is a plague that need not have happened. It is a plague that could have been contained from the very beginning» (È stato permesso che l’Aids accadesse. È stata una malattia che non sarebbe dovuta succedere. Una malattia che sarebbe dovuta essere contenuta sin dall’inizio). Le parole del drammaturgo statunitense Larry Kramer sono puntuali. Kramer fu una delle personalità di spicco tra le più radicali per la lotta contro l’Aids: nel 1981 fu tra i primi a parlarne mediante alcuni articoli che denunciavano i primi casi all’interno della comunità omosessuale newyorkese. La sua opera teatrale del 1985, The normal heart, rimane tutt’oggi una delle storie più struggenti e veritiere sui primi anni dell’epidemia e sull’impatto che essa ha avuto sulla comunità Lgbt+. Con lo stesso titolo nel 2014 uscì anche un film, protagonisti Mark Ruffalo, nei panni di Kramer, e Matt Bomer.

La questione interessante che ruota intorno all’opera riguarda la capacità di Kramer - tra i fondatori di Act Up New York - di sottolineare per primo la completa indisponibilità delle istituzioni di intervenire in maniera celere per fermare il virus dell’Hiv. Il motivo è del tutto politico, dunque: essendo una malattia che, almeno inizialmente, colpiva soprattutto omosessuali e tossicodipendenti, l’intervento governativo fu meno immediato se non, nei primi anni, del tutto assente. Una tale celerità nell’ignorare la malattia da parte delle classi dirigenti non solo non permise la concessione di fondi per la ricerca, fondamentali per tentare di fermare il contagio e dare assistenza ai malati, ma non diede nemmeno un minimo di riconoscimento: Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti per tutto il periodo di massima diffusione del virus dell’Hiv, pronunciò per la prima volta le parole “Hiv” e “Aids” solo nel settembre del 1985, quattro anni dopo l’inizio dell’epidemia. Si dovette aspettare la presidenza Clinton, all’inizio degli anni Novanta, per far si che contro la natura epidemica della malattia si iniziasse a prendere provvedimenti con forti investimenti sulla ricerca. Un remake filmico del presidente Clinton che visita l’Aids Memorial Quilt - la maxi coperta costruita da tante piccole coperte ognuna riportante il nome di una vittima morta di Aids - davanti alla casa bianca è presente in When we rise, serie tv del 2017 diretta da Dustin Lance Black dove l’approccio più radicale ed eversivo scelto da Act up per le sue azioni viene messo in parallelo con l’idea più commemorativa della coperta, promossa da Cleve Jones, storico attivista californiano e spalla destra di Harvey Milk.

L’Aids è tutt’oggi una malattia che porta con sé un livello altissimo di stigma, ma all’epoca della sua comparsa averla significava di fatto essere completamente rigettati dalla società. Il senso di vergogna profondo legato al proprio orientamento sessuale, nel caso degli uomini omosessuali, era ancora molto ampio e l’epidemia di Aids lo accentuò in modo tangibile, dopo una breve parentesi liberatoria avvenuta negli anni Settanta; una delle frasi più struggenti di It’s a sin di Russell T.Davis viene pronunciata da Jill, migliore amica del protagonista, alla madre omofoba di quest’ultimo e recita: «Il mondo è pieno di uomini che pensano di meritare questa malattia, di meritare di morire. Stanno morendo e una piccola parte di loro pensa che sia giusto, che sia colpa loro, perché il sesso che amano li sta uccidendo». 

Di vittimizzazione e senso di colpa legato alla malattia parla anche Susan Sontag sul suo celebre saggio L’Aids e le sue metafore, dove indaga come viene inquadrato il discorso sulla malattia in modo approfondito e puntuale, invitando il lettore ad abbandonare le metafore di guerra per parlare del corpo, in modo da evitare la vittimizzazione del malato.

Se di Aids si ammalavano gli «indesiderabili», o gli «anormali» per citare Michel Foucault, occorre però considerare che la decisione di non muoversi subito in modo rapido per contrastare la malattia o la discriminazione attuata dalla società e dalle istituzioni stesse nei confronti dei malati, fu per l’appunto una decisione, una scelta morale. A dimostrarlo i molti saggi che trattano di biopolitica, tra cui spicca La vita come plusvalore. Biotecnologie e capitale al tempo del neoliberismo di Melinda Cooper, un interessante e riassuntivo spaccato che indaga gli aspetti politici più carsici della malattia e il suo collegamento con le biotecnologie e con le scelte politiche anni Ottanta.

Ogni primo dicembre si celebra la giornata internazionale contro l'Aids: tenere presente le contingenze socio-politiche e culturali dentro la quale si è sviluppata la malattia e l'attivismo per resisterle è un modo per non dimenticare i tanti e le tante che alla sua lotta hanno dedicato le proprie esistenze.

 

Foto: Act Up New York, licenza CC