lirica

Difficilmente si assocerebbe l’idea di opera lirica a un’invasione della platea da parte di attori, tanto più se questi interpretano circensi e acrobati, ma con Pagliacci di Ruggero Leoncavallo sin da subito c’è un’esplosione di colori, di grida, di gioia. Il circo e i suoi pagliacci si muovono per la sala, con una folla di spettatori più e meno giovani; ma la patina di gioia si rivela ben presto sottile come carta velina. Dietro al trucco colorato e ai personaggi apparentemente bonari si cela una storia di possesso, di gelosia e di violenze, che la regia di Giovanni Dispenza, in collaborazione con OperÆtruria, porta con efficacia sulla scena.

Il Teatro Duse – che diventa casa anche per l’Orchestra Senzaspine – è il luogo in cui prende vita quest’opera, composta a fine Ottocento e che secondo lo stesso compositore Leoncavallo si sarebbe ispirata a un delitto realmente accaduto in un paesino della Calabria, Montalto Uffugo.

Sin dall’inizio lo spettacolo appare diverso dalla tradizione, con la scena che inizia a sipario calato, con una personificazione del Prologo. Presto il pubblico fa la conoscenza della compagnia itinerante composta da Canio (Pagliaccio), Nedda (Colombina), Beppe (Arlecchino) e Tonio (Taddeo), che si sta esibendo in un piccolo paese del sud Italia per inscenare una commedia. Tonio, fisicamente deforme, confessa il suo amore a Nedda, che lo respinge ma è subito insidiata dall’uomo. Prontamente la donna si difende ed evita di essere violentata, ma Tonio giura di vendicarsi. L’occasione è presto offerta: sulla scena arriva Silvio, un contadino di cui Nedda è innamorata e che le suggerisce di scappare con lei. Nedda, che teme il carattere violento del marito Canio, dopo tanta indecisione decide di accettare, non sapendo che Tonio li sta spiando di nascosto e si sta muovendo per avvisare Canio. L’uomo sorprende gli amanti all’improvviso e cerca di ammazzare Silvio e persino Nedda, prima di essere fermato da Beppe: la commedia della sera deve cominciare, il paese sta accorrendo in massa.

Ed ecco che il confine tra vero e falso, tra realtà e finzione teatrale, comincia a vacillare: i commedianti mettono in scena il loro spettacolo, vestendo i panni delle maschere della tradizione (Pagliaccio, Colombina, Arlecchino). E se è vero che l’arte imita la vita, lo è ancora di più in Pagliacci: Colombina (Nedda) e Arlecchino sono sorpresi da Pagliaccio (che altri non è che Canio), che presto comincia a faticare a distinguere la scena comica dalla realtà, specie perché Colombina ripete le stesse parole usate poco prima da Nedda. E allora Pagliaccio torna a essere Canio, e in un impeto di rabbia e di possesso colpisce a morte con un coltello Nedda, prima di avventarsi su Silvio, accorso in aiuto dell’amante. Ed è così, nella confusione del pubblico (sul palco e in teatro), che «La commedia è finita».

La frase finale, che la tradizione aveva consegnato a Pagliaccio, nonostante Leoncavallo avesse pensato diversamente, è in questa rappresentazione restituita al suo legittimo proprietario, Tonio-Taddeo. L’opera è breve – dura circa un’ora e mezza – se comparata ad altre, ma anche per questo è assolutamente piacevole anche per chi si approccia alla lirica per la prima volta, complice una storia in apparenza semplice, ma che nasconde molteplici livelli di lettura. È un’opera che sembra anticipare il metateatro di Pirandello, in cui diventa difficile distinguere ciò che è teatro e ciò che non lo è, in cui i personaggi prendono vita propria e si ribellano alla trama prevista per loro, proprio come accade con Pagliaccio-Canio, che non può accettare che Colombina-Nedda – che evidentemente percepisce come sua – possa volere qualcun altro. Una storia che risulta sempre attuale, nonostante gli oltre cent’anni di distanza, e che il direttore Tommaso Ussardi ha saputo ulteriormente valorizzare con la sua Orchestra Senzaspine, che riesce a sottolineare perfettamente i momenti più comici e quelli più marcatamente tesi e tragici. La voce di Arianna Cimolin (Nedda) affascina e suscita emozioni nel pubblico e, assieme a quella di Alessandro Fantoni (Canio), Tong Liu (Tonio) e Marco Puggioni (Beppe), è la colonna portante dell’opera. Sembrerebbe invece che occorra oliare ancora un po’ gli ingranaggi costituiti dalle comparse e dai personaggi minori, che non mostrano ancora pieno possesso del palco.

 

 

In alto una scena dello spettacolo. Foto di Giuseppe Nuzzi