Quindici
Dinamica e radicata, la comunità marocchina di Bologna, che secondo i dati del Comune relativi al 2021 raggiunge i 12.185 abitanti nell’area metropolitana, reagisce al terremoto di magnitudo 7 avvenuto la sera dell’8 settembre, proponendo un sostegno immediato. A caratterizzare la risposta d’aiuto c’è, oltre a una organizzata rete di relazioni tra volontari sia a Bologna che nelle province di Al Haouz, Taroudant e Chichaoua e Agadir, maggiormente colpite dalla calamità, un sentimento diffuso di unione e fratellanza.
«Le persone danno tutto quello che possiedono per aiutarsi, anche chi ha poco o niente, perché questo terremoto e la paura che ha prodotto l’abbiamo sentita tutti noi marocchini sulla nostra pelle». Le parole di Talbo El Motsfa, originario di Casablanca ma residente a Bologna da ormai 25 anni, esprimono al meglio il sentimento di solidarietà che ha permesso ai membri della comunità marocchina di Bologna di reagire con speranza e attivismo alla tragedia che ha messo in ginocchio il Paese nordafricano lo scorso 8 settembre. «Ero in Marocco dalla mia famiglia la sera del terremoto, abbiamo sentito una scossa fortissima intorno alle 23, siamo usciti di casa e insieme ad altre famiglie terrorizzate abbiamo atteso tutta la notte prima di rientrare. La mattina dopo abbiamo scoperto che l’epicentro del terremoto partiva da Ighil vicino alle montagne dell’Atlante: in tanti avevano vissuto la stessa paura. Mi sono subito diretto da Casablanca verso Marrakesh per dare aiuto agli amici terremotati». L’area terremotata copre infatti 70 km intorno alla città di Marrakesh. Dal 9 settembre in queste zone si continua a scavare con i mezzi a disposizione, anche a mani nude e il bilancio dei morti, che superano i 2.800, continua a salire. Più di 5.500 è il numero dei feriti, secondo il ministero degli interni, per un totale di almeno 1.800 famiglie colpite gravemente dal terremoto.
Motsfa è uno dei volontari che collabora con l’associazione sportiva Hilal che, grazie all’aiuto di 150 operatori presenti sia a Bologna che nelle aree terremotate, ha attivato un punto di raccolta di vestiti, tende, scarpe e pannolini da spedire ai villaggi berberi devastati. Progressivamente aumentato a partire dagli anni Novanta, il numero dei lavoratori marocchini attivi sul suolo bolognese, ha infatti permesso alla comunità di diventare sempre più influente nel tessuto socioeconomico del capoluogo emiliano. Adesso, i membri delle numerose associazioni marocchine a Bologna, tra preoccupazione e orgoglio nazionale, si sono mossi per istituire, insieme all’aiuto di un centinaio di associazioni marocchine internazionali, dei centri di raccolta di beni da spedire e dei fondi di donazioni anonime.
Tra queste, spicca l’attività dei presidenti dell’associazione Sopra i ponti: Mohamed Rafia Boukhbiza, uno dei fondatori della cooperativa Amici senza frontiere, che lavora sul territorio marocchino per valorizzare il turismo responsabile, si trovava con un gruppo di turisti nei pressi di Marrakesh la sera dell’8 settembre. I giorni successivi, Boukhbiza e altri due volontari sono partiti per raggiungere i villaggi ad alta quota, sulla catena montuosa dell’Atlante, dove gli aiuti umanitari faticano tutt’ora ad arrivare: «A breve la pioggia e il freddo costituiranno il problema principale per gli abitanti dei paesi rimasti senza casa. Devono essere raccolte tende, vestiti pesanti e coperte, e bisogna fornire un adeguato supporto psicologico per chi ha subito dei lutti familiari».
La cooperativa si è adoperata per offrire aiuto in una prima fase emergenziale, organizzando delle donazioni di sangue che hanno riscosso una grande partecipazione, spiega Fatima Edouhabi, presidente di Sopra i ponti. «Adesso è fondamentale fare un sopralluogo sull’entità dei danni e sulla modalità di supporto da prestare, dato che la catena dell’Atlante tocca delle altezze notevoli e alcuni villaggi sono difficilmente individuabili sulle mappe, senza intralciare l’ottimo lavoro svolto dallo Stato marocchino in collaborazione con gli ospedali e le cliniche, aperte notte e giorno».
Edouhabi, che è originaria di Rabat, ma ha amici e familiari nei pressi di Marrakesh, mostra preoccupazione per quanto accaduto in patria ma, allo stesso tempo, fa trasparire gratitudine nei confronti degli amici bolognesi e marocchini che hanno spontaneamente deciso di collaborare: «Sia ortopedici che psicologi di Bologna hanno espresso la propria volontà di dirigersi nelle zone dilaniate dal terremoto per aiutare: sto pensando di andare con loro e fare la mediatrice linguistica, per aiutare quei ragazzi dei villaggi berberi rimasti orfani dai genitori». In effetti, come reso noto dall’Unicef, sono circa 100 mila i bambini colpiti dal terremoto. A mettere in luce la solidarietà dimostrata dal popolo marocchino, la vicepresidente dell’associazione Hilal Samira Mesnaoui racconta che l’autostrada che lega Casablanca a Marrakesh è piena di automobili da giorni: marocchini e stranieri ininterrottamente accorrono dalle grandi città e dagli aeroporti per prestare aiuto. Da Agadir parte un aereo che raggiunge le località più alte per portare vestiti, cibo e coperte: «I superstiti di alcuni paesini si contano sulle dita di una mano», dice Mesnaoiu. Le case di fango e paglia costruite dai berberi sull’Atlante sono infatti più fragili delle abitazioni cittadine e, quindi, più esposte al rischio di vivere in prossimità di un’area sismica. D’altra parte, Hassan Koubi, originario di Tata nel sud del Marocco e coordinatore degli aiuti per Halal, fa notare come gli abitanti di quelle zone siano sempre stati poco inclini alla valutazione delle minacce naturali: « In campagna anche se c’è un pericolo le persone tendono a non spaventarsi subito, piuttosto che uscire di casa aspettano», dice Koubi.
Keltoum Kamal Idrissi, una delle gestrici del negozio di modest fashion Hijab Paradise, parla della desolazione delle aree colpite: «Sono morte tantissime persone, c’è odore di corpi putrefatti aggirandosi tra le macerie, ma poteva andare molto peggio: se il terremoto avesse coinvolto le città principali del Marocco, Casablanca, Agadir e Marrakesh in modo più diretto, sarebbero morte molte più persone» dice, mostrando il canale social dell’organizzazione umanitaria Islamic Relief Italia, attraverso cui, come i suoi amici, segue le notizie degli sviluppi in diretta. «Anche in questa situazione difficile, come durante il Covid, il regno del Marocco ha dimostrato la sua capacità di coesione, di autonomia sociale e organizzativa: per questo lo Stato marocchino non ha accettato tutti gli aiuti esteri, vuole evidenziare la propria indipendenza», dice infine Kamal Idrissi. Come affermato da Ayoub Abderahim, proprietario del ristorante tipico Al-Kantara in Bolognina, l’imperativo in queste situazioni è uno solo, lo stesso che ha unito nella fiducia di una ricostruzione positiva la comunità marocchina di Bologna: « Bisogna partire, perché andare a dare una mano è un dovere a prescindere dalla situazione di difficoltà che ci si troverà davanti».
L'articolo è stato pubblicato sul Quindici uscito il 21 settembre. Foto concessa dalla cooperativa Amici senza frontiere