Salute

Chiara Gibertoni

«Da parte del governo sembra esserci poca attenzione, ma sono vari gli esecutivi che hanno procrastinato una gestione attenta e strutturata della questione sanità». Chiara Gibertoni, direttrice generale dell’azienda ospedaliero-universitaria Sant’Orsola, ha così risposto ai praticanti giornalisti del Master dell’Università di Bologna (l’intervista integrale nel prossimo numero del Quindici del 30 marzo) che le hanno domandato un commento sul rischio di tagli alla sanità regionale dopo il buco di 400 milioni denunciato dall’assessore alla salute Raffaele Donini, a fronte delle spese straordinarie comportate dall’emergenza Covid-19, facendogli dire che «la sanità non è una priorità di questo esecutivo».

«Oggi non abbiamo scelta - ha detto Gibertoni dopo la sottolineatura che la sanità soffre da anni la scarsa attenzione di Roma - se vogliamo evitare il commissariamento, l’obiettivo deve essere il contenimento della spesa, con tagli che saranno necessari sia sul fronte farmaci e dispositivi medici, sia sul versante personale ospedaliero». Un problema che in realtà toccherebbe solo incidentalmente l’ospedale Sant’Orsola, il cui disavanzo si aggirerebbe intorno a 50 milioni sugli oltre 600 complessivi regionali.

In tal senso Gibertoni, senza sbilanciarsi, sembra ben disposta verso la possibile soluzione, ventilata dal mondo politico, di unire in un’unica super-struttura l’Ausl di Bologna e il Policlinico. «Sicuramente ogni rimedio ha i suoi problemi: una mega-struttura unitaria creerebbe disguidi per gestire una tale mole di personale medico, eppure è assolutamente necessario rompere il muro amministrativo e istituzionale che si è ormai creato tra le varie strutture».

Qualsiasi superamento dell’attuale condizione non deve però far rinunciare a ciò che Gibertoni dichiara essere la vocazione che l’ha spinta a intraprendere questa carriera: «Il mio impegno professionale è sempre stato volto ad avere un sistema sanitario che sia universalistico e pubblico».

Aspirazione che oggi deve appunto fare i conti coi problemi di un’organizzazione della cura su cui ora gravano i ritardi comportati dall’emergenza Covid-19 e che si manifestano in liste d’attesa lunghe e a scorrimento lento. «Il problema principale sono i posti letto e il personale. Abbiamo recuperato circa la metà dei pazienti le cui cure erano state ritardate a causa della pandemia, ma un problema sottovalutato sono quei pazienti fragili e anziani senza nessuno fuori dall’ospedale che se ne possa prendere cura e che quindi noi come ospedale non possiamo dimettere». In numeri assoluti ciò significa che su 40 mila pazienti bloccati nel loro percorso clinico dall'affollamento causa Coronavirus, circa 20 mila hanno ripreso il proprio iter medico; nonostante ciò si è ancora lontani dai 10 mila che caratterizzavano il periodo pre-pandemico.

Su quanti indicano nell’ampliamento del numero di posti delle facoltà di Medicina la strada per sopperire alle mancanze, Gibertoni si dimostra scettica, ritenendo più importante intervenire su due altri fronti: sulle scuole di specializzazione, le quali hanno pochi fondi per completare la formazione dei nuovi medici, e soprattutto sul comparto infermieri, i quali sarebbero troppo spesso «mal pagati e poco qualificati, con il rischio concreto di rendere queste figure professionali poco attrattive per le nuove generazioni».

 

Nell'immagine: Chiara Gibertoni. Foto: Khrystyna Gulyayeva