Diritti

La dipendenza finanziaria dal partner spesso è l’anticamera di altri abusi. Le storie delle vittime, le strategie per contrastare questa sopraffazione subdola e strisciante, l’impegno e le iniziative dei centri specializzati nel proteggere dalle discriminazioni, in vista della giornata dell’8 marzo.

Quattro donne su dieci sono vittime di violenza economica in Emilia-Romagna: dal monitoraggio degli ingressi nei quindici centri antiviolenza del territorio regionale si riscontra infatti che il 40,9% delle donne che si sono rivolte a queste strutture nel 2022 ha denunciato di essere vittima di violenza economica. «È la più subdola e strisciante, rende la vittima finanziariamente dipendente dal marito, limita la libertà delle donne e lascia lividi nell’anima», le parole della notaia Valentina Rubertelli, tra le organizzatrici dell’evento “Conoscersi per proteggersi” tenutosi a Palazzo d’Accursio. Il convegno, a fine gennaio, è stato una buona occasione per ragionare di un aspetto della violenza maschile sulle donne poco analizzato, spesso carsico, che delle volte fa da prodromo alle violenze più esplicite. “Conoscersi per proteggersi” nasce dalla necessità di fornire uno strumento concreto per contrastare la violenza economica, un vero e proprio cassetto degli attrezzi sotto forma di vademecum per diffondere conoscenza ed educazione finanziaria.

Per inquadrare in maniera sistemica il problema della violenza economica è bene utilizzare tre macro-aree distintive, come indicato da un’indagine Ocse-Infe; la violenza economica, infatti, si esprime nell’impossibilità di acquisire e accumulare risorse finanziarie, nell’impossibilità di utilizzarle e nella dipendenza economica dal partner. Aspetto della violenza per l’appunto poco indagato, la questione economica è in realtà base e fattore scatenante di molteplici storie di abuso. Lo specifica Alessandra Bagnara, presidente del Centro antiviolenza !Linea Rosa o.d.v” di Ravenna, che conferma come il fenomeno sia simile tra le regioni e sottolinei un trend purtroppo tutto italiano: il nostro Paese è tra quelli che registrano i più alti tassi di dipendenza finanziaria delle donne dagli uomini. Bagnara racconta uno dei primi casi da lei affrontati all’inizio degli anni Novanta: una donna che lavorava come dipendente aveva firmato una fideiussione bancaria trovandosi impelagata in rate che il marito aveva smesso quasi subito di pagare, lasciandola sola a gestire un pagamento mensile decisamente troppo oneroso. La fideiussione torna ciclicamente tra le storie di violenza: contratto mediante il quale un soggetto si rende economicamente garante per un altro, si traduce spesso in situazioni di donne costrette a sottoscrivere garanzie per investimenti dei propri partner, vincolandole per anni a costose rate. La presidente ricorda poi come anche Ilenia Fabbri, la donna uccisa nel luglio 2022 a Faenza, fosse una vittima di violenza economica; l"ex marito, hanno dimostrato le indagini, pagò un sicario per ucciderla mentre era in atto una causa di lavoro del valore di 500mila euro. Il processo si è concluso in primo grado con l’ergastolo per entrambi gli uomini. «Storie purtroppo sempre più ordinarie, che dimostrano come ci sia necessità di creare una rete contro la violenza che sia sistematica e come il contrasto attivo passi anche dalla consapevolezza finanziaria» ricorda ancora la notaia Rubertelli. Un giorno nello studio di Alessandra Mascellaro, consigliera nazionale del notariato con delega alle pari opportunità, entra una donna distinta, una manager laureata in ingegneria che prende un buon stipendio. Porta la sua storia, quella di una donna che per tradizione familiare lascia la gestione delle finanze al marito, architetto, che negli anni le ha sottoposto un numero enorme di documenti da sottoscrivere: operazioni immobiliari, procure, fideiussioni, un mutuo. Hanno il conto cointestato dai giorni del matrimonio, d’altronde si conoscono da tempo, sono fidanzati dal liceo, ma lei ora teme che lui soffra di ludopatia e deve tentare di sopravvivere con l’esigua “paghetta” che lui le conferisce ogni mese, con la quale deve sostentare la famiglia. Una situazione del genere dimostra che la violenza economica sia radicata, oltre che un fenomeno trasversale tra le classi sociali. 

Ovviamente, però, come sottolineato anche da Paolo Bordon direttore generale dell’Ausl di Bologna, la malattia economica col- pisce principalmente i quartieri a basso reddito: più basso è il livello di istruzione delle donne, maggiore è il rischio di subire violenza. I dati Ocse per l’Italia sottolineano infatti come una laurea riduca il rischio di violenza economica del 31,8%. Non solo, rinunciare ad una propria occupazione fuori dalle mura domestiche per dedicarsi al lavoro di cura familiare incrementa la possibilità di essere vittime del 25%. È evidente, come sottolineato anche dal presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini in occasione del convegno bolognese, che solo un welfare forte può fornire un valido aiuto per uscire da situazioni di disparità di genere che veicolano la violenza: asili nido, bandi dedicati all’imprenditorialità femminile e politiche pubbliche di genere attive sono solo alcuni degli strumenti che si rivelano cruciali per contrastare il fenomeno. Oltre all’impiego di risorse, attivo e mirato ad attaccare la sistematicità del problema, si rivela necessario anche l’operato della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, che fornisce un servizio fondamentale per la città da più di trent’anni; è stata aperta nel 1985 per far fronte a tre casi di stupro ai danni di alcune ragazze minorenni. Laura Saracino, operatrice della Casa e responsabile del settore accoglienza, tiene a specificare che loro, nel raccontare le violenze, prediligono un approccio che ne dimostri la complessità: i tipi di abusi si intersecano tra loro. Spesso un uomo abusante parte dal negare alla partner un conto proprio e può arrivare ad una completa negazione dell’accesso anche a pochi euro necessari per il sostentamento più basilare. Tra i problemi più frequenti che Saracino riscontra, vi è il mancato mantenimento: i padri spesso non pagano ciò che devono alla famiglia e questo pone le donne in una condizione di subalternità. Un caso tipico è quello di un partner che spende tutto il proprio stipendio ogni mese, magari per sostanze o ludopatia: il reiterarsi di tale comportamento nei mesi è una forma di violenza, poiché non permette una pianificazione familiare e mina completamente il rapporto di fiducia. Saracino conclude poi sostenendo che occorre un intervento regolatorio che tenga conto di varie problematiche; una che torna costantemente è quella della casa: le donne che decidono di separarsi, anche quelle con un buon stipendio, spesso hanno difficoltà nel farlo perché non possono permettersi una casa a Bologna, dove i prezzi degli affitti sono in costante aumento e non si trova facilmente un posto dove abitare. Un altro sussidio, questa volta nazionale, è il reddito di libertà, stanziato per la prima volta nel corso del 2020 e attuato dal 2021: prevede un massimo di quattrocento euro al mese per dodici mensilità e si può recepire solamente una volta nella vita.

Le operatrici della Casa delle donne sottolineano come però i fondi siano troppo esigui: nel 2021 erano stanziate risorse per circa seicento donne in tutta Italia. La sola Casa delle donne di Bologna ne ospita circa seicento ogni anno. Anche l’associazione D.i.Re - Donne in Rete Contro la Violenza, su base nazionale, propone dei redditi di autonomia per donne che fuoriescono da percorsi do reinserimento, ma anche qui i fondi si dimostrano a dir poco esigui. Infine, la Regione Emilia-Romagna predispone tirocini che sono delle forme di sostegno al reddito. L’auspicio è di trasformare le esperienze di prova in un lavoro, ma senza un reale investimento su casa e lavoro fisso e indeterminato non vi è risoluzione, anche e soprattutto perché i posti rimangono pochi e sottostimano decisamente il fenomeno e la sua reale portata numerica. In generale, Casa delle donne sottolinea come i sostegni pensati per far fronte alla violenza siano misure una tantum, che poco tengono conto invece del lungo pe- riodo e dell’importanza di politiche strutturate che agiscano in modo mirato. Uscire dal vieto modello di welfare familistico e spingere per un reddito di autodeterminazione, legato anche al fatto che spesso sono le donne a sobbarcarsi la maggioranza del lavoro domestico e di cura in modo totalmente gratuito, sono i primi veri passi per fornire una risposta strutturata a livello di policy. Anche quest’anno, in vista dell’Otto marzo, Saracino conferma la presenza in piazza della Casa delle donne a fianco di Non Una Di Meno, che lancia come ogni anno lo sciopero dal lavoro salariato e di cura per catalizzare l’attenzione sulle discriminazioni e le violenze sulle donne. Anche quelle di natura economica.

 

Nell'immagine la manifestazione Non Una di Meno Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza maschile contro le donne, Roma. Foto di Edoardo Capanna