origini

Mani che sventolano bandiere straniere

«Non si abita un Paese, si abita una lingua. Una patria è questo, e niente altro.» È questo il significato di “lingua madre” per Alessia Santoro, 26 anni, insegnante di italiano per stranieri nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo livello di Bologna e San Lazzaro, per conto dell’impresa sociale Open Group. L’abbiamo intervistata in occasione della Giornata internazionale della lingua madre, che il 21 febbraio celebrerà la diversità linguistica e culturale, il multilinguismo e la madrelingua.

Cos’è la lingua madre per i suoi studenti?

«Quando glielo chiedo, nella maggior parte dei casi mi rispondono: “Quella che posso parlare a casa”. Il concetto di lingua madre nei bambini e ragazzi è strettamente legato alla famiglia e alla comunità d’origine. È la lingua che hanno in comune con i genitori e che parlano con i nonni al telefono».

E per lei, invece, cos’è?

«Ho in mente la citazione di Emil Cioran perché credo che la lingua madre non debba essere necessariamente una, ma ognuno può riconoscersi in più lingue, in base al contesto e alle situazioni: c’è la lingua della famiglia e degli amici, quella con cui pensi e ami, quella che utilizzi per scrivere. Sarebbe utile staccarci dalla concezione dell’unicità della lingua madre».

Da quali contesti provengono i suoi studenti e quali lingue parlano?

«Gran parte dei miei studenti, le cui età sono comprese tra i sette e i 19 anni, arrivano in Italia per raggiungere i genitori, oppure sono minori non accompagnati. In casa parlano soprattutto la loro lingua d’origine, ma spesso, se hanno fratelli loro coetanei o più grandi, tendono a mischiarla con l’italiano. Diverso è il caso degli stranieri di seconda generazione, bambini nati in Italia da genitori immigrati che, dunque, parlano l’italiano da sempre e lo utilizzano anche in famiglia, insieme con la lingua dei genitori».

Qual è la lingua che prevale nell’esprimere sentimenti forti, rabbia, tristezza?

«Per i sentimenti forti, così come per i pensieri, solitamente è più immediata la lingua madre. Crescendo, il bilinguismo nel quotidiano permane, e ci sono casi in cui la lingua d’adozione si assimila talmente a fondo da essere usata per esprimersi in tutto e per tutto».

A scuola, come si relazionano gli studenti stranieri con gli altri?

«Inizialmente far interagire i nuovi arrivati non è semplice, in particolare nel caso di bambini che provengono da contesti di guerra e sono spesso traumatizzati e arrabbiati, perché si portano dentro il dolore del distacco forzato con la loro casa. Alcuni lo sfogano facendo chiasso durante le lezioni; altri si chiudono in sé stessi; altri ancora reagiscono dando il massimo per apprendere la nuova lingua. I più piccoli comunicano con il corpo, i gesti, il gioco. Per gli studenti delle medie, invece, complice la preadolescenza, l’interazione non è così scontata e ci sono molti casi di isolamento e autoisolamento».

Quali sono le maggiori difficoltà per gli studenti stranieri e per voi insegnanti?

«Per gli alunni, l’ostacolo più grande è il timore di staccarsi dalle proprie radici. In classe ripeto sempre che imparare l’italiano non significa dimenticare la propria lingua d’origine. Faccio sempre un esempio: ogni studente è come un iceberg, le punte rappresentano le lingue che imparano, ma la base è unica ed è la loro mente, in grado di contenerle tutte. Per noi insegnanti, invece, la difficoltà è comprendere le esigenze specifiche del singolo: ogni persona è diversa dall’altra, ognuna con la sua lingua, il suo vissuto e il suo carico emotivo; a volte, la differenza linguistica ci impedisce di capire se alla base ci siano anche problemi cognitivi e di apprendimento, in quanto né gli alunni né i genitori riescono a comunicarcelo».

Quali sono le soluzioni adottate dalle scuole bolognesi per valorizzare le lingue d’origine e includere i giovani stranieri?

«Oltre ai normali corsi didattici, molte scuole di Bologna e San Lazzaro hanno aderito ai nostri programmi di alfabetizzazione, corsi di italiano durante l’orario scolastico ed extrascolastico, pensati in primis per agevolare la loro integrazione e permettere a tutti di partecipare attivamente alla vita scolastica. Per coinvolgerli e valorizzare le lingue madri, nelle scuole primarie appendiamo in classe cartelloni, bandierine e filastrocche di benvenuto tradotte in più lingue e leggiamo fiabe e filastrocche dei loro Paesi con testo a fronte in italiano. Mentre, per le scuole secondarie, usiamo la letteratura interculturale e i testi musicali. La contaminazione culturale è utile sia per sbloccare gli stranieri che per allargare gli orizzonti degli stessi italiani».

 

Alessia Santoro, insegnante

 

Immagine principale presa dal sito Freepik.com con "licenze creative commons"; foto dell'insegnante Alessia Santoro concessa dall'intervistata.