Detrazioni

Conferenza Petizione Acli lavoro domestico

«L’obiettivo della petizione Acli non è ridurre l’aumento salariale, bensì impegnarsi per dare compensazioni alle famiglie». Con queste parole il presidente del Patronato Acli Bologna, Filippo Diaco, ha presentato una petizione sindacale, sulla piattaforma online change.org/aiutofamiglie, rivolta al governo nazionale al fine di aiutare le famiglie italiane a sostenere l’aumento dei costi per ingaggiare un lavoratore domestico ossia badanti e baby-sitter. L’incremento salariale, imposto a partire dal primo gennaio 2023 per corrispondere gli stipendi di colf e assistenti domestici all’aumento del costo della vita, ha infatti fatto pesare i rincari unicamente sulle spalle delle famiglie.

Il nuovo anno ha portato un rialzo del costo medio dello stipendio di una colf del 9,2%, ossia, in valori assoluti, un rincaro di circa 125€ al mese per nucleo familiare. L’aggravio pone molte famiglie nella condizione di non poter sostenere tali costi e, di conseguenza, molte di loro hanno deciso di rinunciare all’aiuto in casa. Si è appunto assistito, secondo i dati presentati, a un incremento delle cessazioni di contratto, passate da 815 nel 2021 a 898 nel 2022.

Di fronte a tali incrementi Acli lancia l’appello al governo nazionale affinché le famiglie non siano lasciate sole ma possano essere sostenute attraverso l’introduzione di una legge nazionale che offra la possibilità di detrarre fino al 19% tutte le spese per l’assistenza alla persona, equiparando a “spese mediche” il peso fiscale del salario di colf e assistenti domiciliari. «È inaccettabile la disparità di trattamento tra chi decide di affidare le cure dei propri cari a strutture preposte quali case di riposo, cosa che garantisce agevolazioni fiscali per le famiglie, e coloro che invece si occupano di queste persone in casa propria senza alcuna tutela da parte dello Stato» accusa la presidente provinciale Acli Chiara Pazzaglia.

La legislazione attuale prevede la sola deducibilità dei contributi Inps rivolti ai collaboratori domestici per le sole famiglie il cui reddito mensile non superi i 2100 euro; la proposta Acli prospetta invece una detraibilità del 19% da estendere anche ai redditi fino almeno ai dieci mila euro.

Per quel che concerne la composizione della classe lavoratrice impegnata nella cura domestica e parentale, a prevalere è ancora nettamente il genere femminile: l’85% degli impiegati nel settore sono donne. Anche la composizione geografica vede solo il 15% dei dipendenti di origine italiana, mentre quasi la metà del totale proviene dall’Est Europa. In quest’ultimo gruppo è in forte crescita il numero di colf di origine ucraina le quali, fuggite in Italia a causa dell’aggressione russa al proprio Paese di origine, subiscono la segregazione sociale tipica delle comunità nazionali trasferitesi in uno Stato straniero. E' noto che gli immigrati tendono a fare rete coi loro connazionali già in Italia che spesso fanno anche da tramite nella ricerca di lavoro; per tale ragione molto spesso gli immigrati di uno stesso Paese fanno  lo stesso tipo di mansione, poiché è l’ambito nel quale hanno più facilità di conoscenze e di integrarsi.

Infine, come sottolineato dal direttore del Patronato Acli Matteo Mariottini, nonostante l’adeguamento salariale, l’età media dei lavoratori del settore è di 52 anni, con picchi superiori ai 70 anni d’età. Situazione che non solo lascia interdetti gli organizzatori riguardo la sicurezza di lasciare l’accudimento di un anziano nelle mani di un suo coetaneo; ma soprattutto il dato palesa le basse retribuzioni di colf e baby-sitter, le quali sono costrette, con una pensione insufficiente, a proseguire il lavoro ben oltre i limiti di età e facoltà fisico-mentali.

«I datori di lavoro chiedono assistenza e vicinanza: famiglia e sanità sono temi centrali che il governo non può dimenticare, come fatto nell’ultima legge di bilancio» conclude Diaco.

 

Nell'immagine, da sinistra, Filippo Diaco, Chiara Pazzaglia e Matteo Mariottini. Foto Tommaso Corleoni