Sociale
Un Italia spaventata e preoccupata, «latente». Così la racconta Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ospite ieri sera all’oratorio San Filippo Neri, dove ha illustrato il rapporto che ogni anno offre una narrazione completa dei fenomeni sociali, culturali ed economici che interessano la società italiana. De Rita ha colto l’occasione per annunciare una nuova ricerca specifica su com’è cambiata Bologna, la prima da vent’anni, e finanziata dalla Fondazione del Monte, i cui risultati verrano comunicati in primavera. Per offrire una fotografia più completa e accurata dell’Italia, il Censis ha deciso di studiare non solo l’anno appena concluso, bensì gli ultimi tre. Secondo De Rita sono emerse quattro chiare crisi — covid, economia, Russia e bollette — che mettono in ginocchio un sistema paese già fortemente provato da molte emergenze.
«Noi cerchiamo di trovare parole per dare sintesi del tutto e non è sempre facile. Ciononostante la parola che simboleggia l’Italia quest’anno è latenza, con la nostra società che si ritrova senza un modello capace di interpretare gli eventi e dare una linea di azione determinata. Insomma, l’Italia non regredisce ma non matura, naviga con la nave ma non si manifesta», spiega De Rita, che continua con un avvertimento sull’inverno demografico. «È particolarmente preoccupante: solo nello scorso anno abbiamo perso 100.000 bambini nelle scuole (dalle elementari al liceo) e tra 20 anni ci saranno un terzo di ventenni in meno».
La situazione economica preesistente non è migliore. «Crescono le esportazioni, ma il nostro consumo interno cala. Un italiano su quattro è a rischio povertà, nel Mezzogiorno quasi uno su due. Un Pil in crescita offusca la realtà sociale con cui lotta gran parte della popolazione: negli ultimi 20 anni lo stipendio medio in Italia è aumentato dello 0,8%, negli altri paesi europei dal 35% al 40%. Nei paesi scandinavi si raggiunge addirittura il 200%, certo una realtà ben diversa, ma nemmeno troppo lontana. Tra tre anni raggiungeremo 3.000 miliardi di debito pubblico, e se si considerano tutti questi fattori insieme, la cosa non è sostenibile».
La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo. Il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari e il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà. Eppure gli italiani non si arrabbieranno. Non scenderanno in piazza a urlare. Non ci sarà una reazione sociale coesa. Il Censis definisce l’Italia «un paese post-populista e malinconico», ormai troppo triste, preoccupato e spaventato per presentare un fronte di resistenza concreto. Si spera che lo studio su Bologna, nel suo piccolo, riveli una realtà diversa.