Referendum

Nadia Urbinati, politologa italiana (immagine presa dalla pagina Youtube "Feltrinelli Education")
«Il referendum non è stata una grande idea». Così la politologa e professoressa di scienze politiche alla Columbia University, Nadia Urbinati, commenta a InCronac@ i risultati, le responsabilità politiche e culturali dell’esito referendario. Ma anche le criticità emerse attorno a temi sensibili come cittadinanza e lavoro. Il mancato raggiungimento del quorum ha decretato l’inefficacia dell’ultimo referendum, suscitando nella docente e commentatrice riflessioni sullo stato della democrazia italiana e sul rapporto tra cittadini e istituzioni.
Come mai il quorum non è stato raggiunto?
«Le cause principali vanno a ricercarsi nell’astensionismo portato avanti dal centrodestra. La campagna contro il referendum, infatti, ha inciso negativamente agli occhi dell’opinione pubblica. Ma anche la disaffezione degli italiani nella politica è una delle ragioni principali. Da anni ormai le persone hanno smesso di credere negli storici partiti di riferimento perché le delusioni sono state tante, anzi troppe».
Perché c’è stata una così bassa affluenza ai seggi?
«Dal punto di vista democratico, è davvero irrazionale che la gente non vada a votare perché questo è l’unico modo che il popolo ha per poter cambiare le cose. Ma così non è stato e bisogna prenderne atto. È stata una sconfitta per tutti coloro che hanno provato veramente a far sentire la propria voce».
Le spaccature interne nel Pd hanno influenzato gli elettori?
«Sono del parere che persino l’ala riformista del Partito democratico, anche se non mi piace definirla in questo modo, sia andata a votare e abbia seguito le linee generali. In ogni caso non voglio insistere su queste presunte fratture perché alla fine uno è libero di dichiarare il proprio voto a prescindere da tutto. Siamo in democrazia».
È sorpresa della divisione sul quesito riguardante la cittadinanza?
«L’Italia è sempre stata razzista e xenofoba, perciò non mi meraviglio più di tanto, nonostante le visioni discordanti. Era quasi scontato dato che i lavoratori non vedono di buon occhio gli immigrati. Ciò che trovo sgradevole è che un Paese come il nostro, appartenente all’Unione Europea, sia l’unico che faccia attendere dieci anni solo per poter richiedere la cittadinanza».
Qual è il suo giudizio finale sul referendum?
«Il referendum non è stata una grande idea. I temi del lavoro e della cittadinanza verranno riproposti in futuro, perché sono troppo importanti per essere abbandonati completamente. A trascinare gli elettori alle urne poteva essere il quesito sull’autonomia differenziata con agli altri cinque, che però è stato rifiutato dalla Consulta lo scorso 20 gennaio. Il referendum va usato con cautela, altrimenti si rischia che non vada a buon fine».