Ambiente

Nell'immagine concessa da Gisella Arlotti gli effetti dell'alluvione sulla via di Ravone
Bologna, colpita da tre alluvioni negli ultimi due anni, è alle prese con il processo di ricostruzione dopo le piogge di ottobre. Tra rimborsi tardivi, ostacoli burocratici e fragilità strutturali, i primi canteri sono partiti. Mentre il comitato di quartiere “Ravone Sicuro” chiede interventi più rapidi, Regione, Comune ed enti siedono a un unico tavolo per sciogliere le criticità emerse nella gestione dell’emergenza.
È stato un post di Facebook a salvare Gisella Arlotti, rimasta bloccata nella sua casa in via di Ravone la sera del 19 ottobre. Immersa con l’acqua fino al collo, nella disperazione di non riuscire a chiamare i soccorsi, la donna ha pubblicato su Facebook il suo messaggio d’addio: un’amica di Trieste l’ha letto e ha lanciato l’allarme. Dai vigili del fuoco triestini è partito allora un allarme che, come una versione inquietante del telefono senza fili, è arrivato fino a Bologna e ha permesso ai sommozzatori di salvarla. «Mi sono voltata e ho visto entrare l’acqua a fiotti, da tutti i lati. — racconta Gisella — A un certo punto si è rotta la finestra e mi ha travolto un getto d’acqua. Sono riuscita a rimanere dritta, con il cellulare provavo a chiamare i soccorsi, ma non rispondevano. Il livello è salito in pochi minuti. Sono arrivata a dieci centimetri dal soffitto». Quello che la donna non sapeva è che, in quelle stesse ore, nella casa accanto, anche sua madre Paola era stata travolta dalla piena e aspettava al buio, in un mare di mobili galleggianti.
La vicenda della famiglia Arlotti e la catena di telefonate che l’ha salvata dall’alluvione dello scorso ottobre ci raccontano qualcosa del nostro presente.
A distanza di mesi il fango che si è portato dietro il torrente continua a ricoprire, come una pellicola marrone, gli oggetti e il pavimento della casa di Gisella, che non sarà agibile prima dell’estate. Anche scendendo più giù, da via di Ravone a via Saragozza e poi in Andrea Costa, si ritrovano le tracce dell’acqua che quella sera ha invaso strade, cantine e condomini. Ma cosa succede dopo che eventi sconvolgenti, come la pioggia del 19 ottobre, esauriscono la loro carica e vengono riassorbiti nella quotidianità di tutti i giorni?
«Nelle prime settimane dopo l’alluvione l’aiuto dei volontari e della comunità è stato importantissimo — spiega Lucia Grazia, residente in via Andrea Costa — il problema è venuto dopo, quando le persone sono giustamente tornate alla loro vita, e noi siamo rimaste qua, con dei punti del fiume scoperti, alcune case ancora inagibili e senza risposte concrete da parte del Comune».
Una volta spalato il grosso del fango, infatti, agli abitanti e ai negozianti del quartiere è rimasta la consapevolezza che nessun rimborso poteva compensare i danni subiti, e che l’arrivo della primavera avrebbe portato con sé altre piogge, altri potenziali 19 ottobre. Per richiamare l’attenzione di un’amministrazione che, secondo alcuni, stava tardando troppo è nato il comitato “Ravone Sicuro”, attivo da gennaio per favorire il dialogo tra il Comune e i cittadini. Lucia, che ne fa parte dall’inizio, racconta come alla base ci sia la volontà di partecipare ai processi decisionali: «Abbiamo capito che c'era un problema di comunicazione, perché abbiamo dovuto attendere quasi quattro mesi prima che si iniziasse a parlare di intervenire alla radice del problema». A partire da gennaio il comitato ha organizzato un ciclo di assemblee, durante le quali quasi 200 cittadini si sono confrontati con il sindaco, gli assessori e i tecnici Arpae, a riprova del fatto che «non si trattava dei soliti quattro o cinque interessati, ma era una cosa che coinvolgeva tanti». Scegliendo una strada diversa rispetto ad altri comitati che si sono mossi per vie legali, il “Ravone Sicuro” si è reso sin da subito disponibile a collaborare con la Città Metropolitana, seguendo da vicino l’evoluzione dei lavori. Ma a che punto sono, appunto, i lavori di ricostruzione?
All’indomani dell’alluvione, i primi interventi completati sono stati quelli per rimuovere i detriti dal Ravone e per liberare le strade dal fango. Poi qualche mese di silenzio e infine il sindaco Matteo Lepore ha promesso la realizzazione di un pacchetto di opere urgenti. Tra queste la copertura del Ravone nei tratti rimasti ancora esposti, completata «in anticipo di un mese», come annunciato dalla Regione. La sottosegretaria alla presidenza in Regione Manuela Rontini ha aggiunto che si è trattato «solo di un primo passo — e che — bisogna continuare a intervenire velocemente» ma il Comitato è soddisfatto a metà. Perché i risultati ottenuti sono il frutto di «un programma arrivato molto tardi e solo dopo molte proteste da parte dei cittadini coinvolti». L’impressione è che sia ancora una volta di una soluzione temporanea, perché i tecnici avrebbero specificato, a detta dei membri del comitato, «che si tratterebbe di una copertura igienico-sanitaria, necessaria per non lasciare l’acqua scoperta ma che, se dovesse tornare a piovere, non ci sarebbe nessuna garanzia di sicurezza». Il Ravone cioè potrebbe esondare di nuovo, perché il suo tombamento non riesce più a contenere le quantità d’acqua che scendono negli ultimi anni, a causa del cambiamento climatico.
Ad oggi basta una pioggia un po’ più forte del solito ad allarmare il quartiere e i suoi residenti, che temono di ritornare a una situazione alluvionale. Luca Vianelli, uno dei fondatori del “Ravone sicuro”, racconta come le criticità del torrente fossero note da anni: «È sconvolgente che ancora non ci sia un progetto per la messa in sicurezza definitiva. Ci è stato detto che per arrivare a una soluzione strutturale ci vorranno almeno 10 anni — prosegue — la nostra speranza a questo punto è che piova poco». Una prospettiva amara, di fronte alla quale la chiusura anticipata dei cantieri non basta a tranquillizzare chi vive e lavora sopra il Ravone. Il Comitato chiede che con la stessa velocità si inizi a lavorare sui problemi strutturali che l’alluvione ha portato a galla e che richiedono un ripensamento complessivo del territorio. Durante l’ultima riunione di quartiere è emersa la necessità di «velocizzare gli interventi a monte. È assurdo — afferma un residente — che la pulizia sia stata fatta prima in pianura e non in montagna, è illogico».
L’assessore comunale alla sicurezza idrica Daniele Ara ha dichiarato che l’attenzione principale resta rivolta alle opere a monte, e che il comune sta concordando una serie di interventi, tra cui delle vasche di laminazione, «per trattenere l’acqua in collina e far sì che venga dirottata verso il Reno, inserendo così anche i Colli nella Mappa di rischio». Una nuova modalità operativa dovrebbe semplificare il coordinamento tra gli enti coinvolti e per la prima volta Regione, Comune e Consorzi faranno parte di una cabina di regia unificata che gestirà gli interventi e i rimborsi.
Anche i rimborsi, infatti, restano un tema caldo: i bandi, pubblicati in ritardo, prevedono lunghi iter burocratici, ai quali in molti hanno rinunciato. Secondo i dati forniti da Legacoop Romagna, per le alluvioni di maggio 2023 e settembre 2024 sarebbero state presentate solo 2.500 domande, a fronte degli 86mila aventi diritto. Per ottobre 2024 il presidente De Pascale ha previsto un bando con modalità d’accesso semplificate e un contributo per le famiglie evacuate. Questo però potrebbe cambiare di poco la situazione, considerato l’importo relativamente basso dei contributi: «Con 5.000 euro puoi farci qualcosa se hai perso una macchina — spiega Lucia — però per chi ha avuto dei problemi in casa sono troppo pochi». A casa dei suoi genitori per esempio, i danni ammontano quasi a 50.000 euro, di fronte ai quali i 5.000 euro di aiuti della Regione risultano inadeguati.
La macchina amministrativa procede, ma sono ancora tante le questioni aperte, dal mancato aggiornamento del piano d’emergenza della Protezione Civile, agli alloggi per chi dopo ottobre si è trovato senza un tetto, oltre alla frustrazione per i tempi vaghi legati a una soluzione definitiva. Un indizio della complessità dei fattori in gioco ce lo dà un dettaglio marginale, ma emblematico di alcune carenze nella gestione del 19 ottobre.
Quella sera, in via di Ravone, la famiglia Arlotti viene avvertita del pericolo esondazione da un uomo della protezione civile, incaricato di dare l’allarme porta a porta: «Ci ha detto di stare attenti, perché c’era un’altissima probabilità che il torrente potesse esondare. Non ha detto però — specifica Paola — che c’era l’ordine di evacuazione». Al contrario, i residenti di Andrea Costa, aggiornati dai messaggi diramati via social dal Comune, non hanno visto nessuno passare sul posto ad avvertire. Nello stesso quartiere in cui si può essere salvati dall’esondazione grazie a un post di Facebook si rischia, se non si utilizzano i social o non li si controlla regolarmente, di non ricevere alcune istruzioni fondamentali in caso di emergenza. Per il comitato “Ravone Sicuro”, «se c'è un pericolo imminente dovrebbero essere usati metodi che raggiungano tutti i cittadini, come la macchina con il megafono». O come il meccanismo Alert System, attivo in Emilia-Romagna dal 2023 ma che, non si sa perché, quella sera non è stato utilizzato.
L'inchiesta è tratta dal "Quindici" n.1 del 9 aprile 2025