la leggenda
Uno scatto di Nicola Pietrangeli mentre solleva la Coppa Davis con gli azzurri (foto Ansa)
Tra vittorie, rovesci, passioni e battaglie, Bologna custodisce una pagina significativa della leggenda di Nicola Pietrangeli. Fu qui che il 27 settembre 1970, sui campi della Virtus Tennis, si consumò un incontro destinato a entrare nella storia: il ventenne Adriano Panatta, davanti a tremila spettatori, rimontò il campione allora 37enne fino a trascinarlo in un quinto set rimasto scolpito nella memoria del tennis italiano. Un vero e proprio passaggio di consegne tra il maestro e il “ragazzino del Parioli”, come lo chiamava affettuosamente, destinato a diventare l’uomo della Davis. Insalatiera che Panatta conquistò proprio con Pietrangeli capitano non giocatore sei anni dopo, nonostante una contesa istituzionale che intrecciava lo sport alla politica, con l’allora governo di Andreotti che spingeva per non giocare in un Cile soffocato dalla dittatura.
Nicola Pietrangeli arrivava dalla Tunisia, ma non era per questo che lo chiamavano “er Francia”. Il soprannome gli era rimasto attaccato perché, tra tutti i ragazzini che affollavano le strade e i quartieri di Roma, lui era l’unico a parlare il francese. Forse perché già intravedeva nella Francia un destino luminoso, in quella Parigi dove avrebbe trionfato al Roland Garros nel 1959 e nel 1960, per poi tornare in finale nel ’61 e nel ’64. Ma era chiaro che neanche la Torre Eiffel avrebbe potuto contenere l’anima della leggenda destinata a incantare la terra battuta di tutto il mondo. Neanche lo Stadio Olimpico di Roma, dove entrò come spettatore e tifoso laziale, giocando anche come mezz’ala nelle giovanili dell’Aquila, avrebbe potuto essere casa sua. Ma nonostante i viaggi, i trionfi, i drammi e gli amori, Nicola Pietrangeli una casa l’avrebbe finalmente trovata. Proprio lì, nel cuore di Roma, tra le statue e le colonne del Foro Italico. Nello stadio centrale del tennis, dove trionfò in due Internazionali d’Italia, nel 1957 e nel 1961, e dove gli italiani gridavano e credevano di poter battere chiunque. Lo Stadio Nicola Pietrangeli. La sua vera casa. Ed è proprio lì che voleva riposare per sempre, perché sapeva che quel campo era il suo salotto, il luogo in cui aveva scritto la storia. E ora, quel desiderio, sarà esaudito.
Nato a Tunisi l’11 settembre 1933 in una famiglia cosmopolita, Nicola Pietrangeli cresce tra disciplina e curiosità, mentre l’infanzia è segnata dalla guerra: la casa distrutta, il padre internato in un campo di prigionia, il tennis scoperto con racchette improvvisate. Dopo l’espulsione dalla Tunisia, la famiglia approda a Roma, dove il giovane Nicola sceglie la cittadinanza italiana e trova, nei campi dello stadio che diventerà “suo”, il terreno ideale per forgiare talento e stile. Nei circoli romani affina un gioco elegante e lucido, frutto dell’educazione internazionale e della severità familiare. Primo italiano a vincere uno slam, tra il 1957 e il 1964 entra stabilmente tra i primi dieci al mondo, fino a posizionarsi come terzo nel ranking. Ma è sul rosso di Parigi che il suo rovescio a una mano diventa leggendario e “indecifrabile”, capace di colpi che spiazzano chiunque. Vince tre volte a Monte Carlo, due agli Internazionali d’Italia, e mette insieme 67 titoli. Nel 1963 conquista l’oro ai Giochi del Mediterraneo, un bronzo nel doppio, e un altro nel torneo olimpico dimostrativo di Città del Messico nel 1968. Una serie di successi che verrà interrotta nell’unica tappa bolognese della sua carriera, quando, appunto, venne sconfitto ai Giardini Margherita da Adriano Panatta nel 1970, per gli Assoluti di tennis. Di Pietrangeli rimane comunque un palmarès straordinario, che lui stesso guardava con ironia: «Se mi fossi allenato di più avrei vinto di più, ma mi sarei divertito di meno».
Ancora oggi Pietrangeli resta il primatista assoluto di Coppa Davis: più partite disputate di chiunque altro, più vittorie in singolare e in doppio. Con Orlando Sirola formò una coppia leggendaria, pur conquistando l’insalatiera solo da capitano, nel 1976, proprio con Panatta numero uno. Di quella finale in Cile ha sempre rivendicato soprattutto il valore politico: il coraggio di partire nonostante le pressioni per il boicottaggio del regime di Pinochet. Chi l’ha visto giocare ricorda non solo il rovescio arcuato e chirurgico, ma anche i gesti di un uomo d’altri tempi: le scarpe sempre lucidate, il saluto rispettoso agli avversari, e il famoso match point salvato a Wimbledon con un passante stretto da manuale. Ogni movimento emanava eleganza e misura, qualità rare nel tennis dell’epoca. Fuori dal campo non mancavano gli aneddoti: negli anni Sessanta rifiutò ingaggi milionari pur di restare dilettante e difendere l’Italia in Coppa Davis, un atto di lealtà che ancora oggi definisce la sua leggenda.
Tanto patriottismo, ma zero peli sulla lingua: così Pietrangeli ha sempre commentato l’ascesa di Jannik Sinner, tra sincera ammirazione e qualche frecciata. Dopo il trionfo agli Australian Open, che ha superato il suo record di due Slam, aveva sorriso: «I record sono fatti per essere battuti… ma Jannik sta esagerando». Subito dopo, però, ne riconosceva grandezza e comportamento impeccabile, respingendo l’etichetta di “rosicone”: «Spero che smettano di pensarlo. Sinner è il miglior tennista italiano di sempre, forse anche austriaco», chiosò con una certa ironia. La tensione si è riaccesa quando Sinner ha rinunciato alle finali di Coppa Davis. Rifiuto che Pietrangeli non prese bene: «È uno schiaffo al mondo sportivo italiano. Parla di scelta difficile, ma deve giocare a tennis, non andare in guerra. Quando si parla di Coppa Davis mi infervoro… ma ormai appartengo a un’altra epoca».
Un’ epoca che cala il sipario sul suo protagonista più luminoso. Mercoledì a Ponte Milvio si terranno i funerali, mentre la camera ardente si svolgerà proprio sul campo a lui intitolato al Foro Italico, come aveva chiesto più volte: «C'è il parcheggio, se piove ci si ripara nel sottopassaggio che porta agli altri campi e il funerale si rinvia al giorno dopo. Non voglio disturbare». Noi non sappiamo se pioverà, ma di certo non potremo più rimandare.