Calcio

Maria Teresa Giacometti al campo di Valles in occasione di un ritiro estivo del Bologna. Foto di M.T. Giacometti
È solo con il cuore che si può vedere veramente. L’essenziale è invisibile agli occhi. Diceva la volpe al piccolo principe nel romanzo di Antoine de Saint-Exupéry. Allo stesso modo non è necessario dover guardare una partita per poter tifare la propria squadra. Siamo dotati di cinque sensi che spesso dimentichiamo o non sfruttiamo a sufficienza. È questo il più grande insegnamento di Maria Teresa Giacometti, che da 30 anni frequenta il Dall’Ara per amore del Bologna. Possiamo assistere a una gara anche solo prendendone parte emotivamente con l’udito, come dimostra appunto la signora non vedente. E a tutti quelli che le chiedono di continuo se la sua sia una semplice passione, lei risponde così: «Non chiamatemi appassionata, io sono tifosa». Una distinzione che può sembrare sottile, ma che in realtà è fondamentale per comprendere meglio il suo rapporto con il calcio, lo sport più amato d'Italia.
Quando va allo stadio Maria Teresa preferisce stare in tribuna vicino alla curva per poter percepire meglio l'atmosfera. Per lei l'ambiente che la circonda è tutto. Il boato della folla al gol, il brusio crescente che accompagna un’azione pericolosa, il vento che porta con sé l’eco dei cori incessanti. Eppure, la sua prima esperienza non è stata proprio esaltante. Era piccola e la partita contro il Brescia la intrattenne senza però impressionarla per davvero: «Mi sono divertita anche se non capivo molto di quello che stava succedendo. In realtà non mi emozionai così tanto, forse mi aspettavo di più».
Maria Teresa sente parlare di calcio in famiglia, per la prima volta, quando era ancora una bambina. Il padre e lo zio erano soliti guardare a casa il Bologna di fronte alla televisione. Tra commenti tecnici ed esultanze, il pallone entrava pian piano nella sua vita, sebbene non in grado di vedere per via della sua cecità fin dalla nascita. La svolta nel 1964, anno in cui i rossoblù vinsero il loro ultimo storico scudetto. All’epoca Maria Teresa aveva appena undici anni, ma da quel momento in poi iniziò a seguire la squadra con grande interesse e una dedizione unica. Si innamorò anche del trequartista tedesco Helmut Haller, calcisticamente parlando, che fu capace di segnare ben sette gol in quella stagione d’oro. L’annata si concluse con la vittoria allo spareggio contro l'Inter, che decretò così il trionfo del Bologna.
L’anno successivo Maria Teresa si trasferì ad Ancona, dove il calcio si viveva in maniera diversa. In un ambiente in cui tutti tifavano le squadre più blasonate del campionato, dalla Juventus alle due milanesi, lei trovò conforto nei programmi radiofonici che le permettevano di restare legata ai suoi colori. Ancora oggi, infatti, ricorda con nostalgia le domeniche passate ad ascoltare le partite: «Era il mio passatempo preferito. Aspettavo quel momento più di ogni altra cosa al mondo».
Qualche anno più tardi, seguire il Bologna dal vivo diventò un'autentica impresa per lei. Le difficoltà logistiche non le impedirono, comunque, di informarsi costantemente sulla sua squadra del cuore, anche nei momenti più bui come le retrocessioni in Serie B e in C1 verso la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Fu un periodo di vera sofferenza sportiva ed esplorazione interiore.
Iniziò così ad allargare i suoi orizzonti, avvicinandosi alla pallacanestro e alla Virtus, che le dava più soddisfazioni in termini di risultati e divertimento offerto. Tuttavia, il suo amore più grande rimane l'atletica leggera, lo sport che avrebbe sempre voluto praticare: «Il mio sogno è sempre stato quello di partecipare alle maratone. Ma purtroppo data la mia condizione non è mai stato possibile. È un vero peccato perché ci tenevo tanto».
A partire dal 1994, Maria Teresa iniziò a frequentare lo stadio con più continuità grazie a Libero, il marito di una sua amica: «Ci mettevo un’ora e mezza per arrivare al Dall’Ara. Prendevo sia il taxi che due autobus per arrivare da lui». Un'abitudine che si è interrotta, con suo dispiacere, durante il Covid. È in quel momento che è subentrato Vittorio, un suo conoscente, il quale l’ha presa sotto la sua ala offrendole un passaggio in macchina per andare alle partite. Un legame di reciproco aiuto che dura ancora oggi: «Ora esco di casa due ore prima a causa dei pochi parcheggi privilegiati, che di solito sono pure occupati. Ma almeno sono sicura che c’è qualcuno che mi può accompagnare. Adoro andare allo stadio con lui perché mi trasmette sicurezza». Ogni volta è un’esperienza totalizzante, un rituale che si ripete ma che non perde mai il suo fascino. Durante i match, il suo fedele accompagnatore le descrive le azioni a voce in maniera a dir poco precisa, permettendole di vivere ogni momento con intensità. «Godo tanto di ciò che percepisco coi miei sensi. Quando i rossoblù segnano una rete è un momento incredibile». Quel frastuono assordante e le urla che rimbombano. Sono questi gli istanti che rendono la sua vita speciale. Ma contrariamente a quanto si possa pensare, per Maria Teresa è il viaggio di ritorno dopo una partita il momento più bello. Lo considera «il tempo di riflettere, di assaporare le emozioni vissute. Un qualcosa di assolutamente meraviglioso». In quei minuti di tragitto, ripercorre le azioni a mente, rivive le sensazioni vissute sugli spalti e si lascia trasportare da quella malinconia che accompagna la fine della giornata.
Il 2024 è stato un anno speciale, un capitolo indimenticabile nella storia del Bologna, che ha chiuso il campionato di Serie A al quinto posto, conquistando una storica qualificazione alla Champions League. Un risultato straordinario, dopo stagioni altalenanti, che ha segnato una vera e propria rinascita per il club e i suoi tifosi: «Non avrei mai pensato di poter rivivere Maria Teresa allo stadio Dall'Ara con un'amica un momento del genere. Sentire quell’inno dal vivo mi ha messo i brividi. Il Bologna in Europa sembra un sogno», racconta emozionata.
Non mancano nemmeno i brutti momenti nei suoi ricordi da tifosa. Come la trasferta a Parma del 2005, con i rossoblù che sono retrocessi nonostante i 42 punti ottenuti a fine stagione. «Quel giorno è stato un colpo al cuore, una ferita che brucia ancora oggi e fatica di rimarginarsi». Oppure la delusione contro la Juventus della scorsa annata, quando il Bologna ha sprecato un vantaggio iniziale di 3 a 0 facendosi rimontare all’ultimo. «Tutte le volte che le altre squadre vincono in casa nostra è una sensazione orribile, in più le trasferte mi agitano da morire. Non posso farci niente. Mi viene l’ansia a pensarci tanto che di solito le evito, ma faccio fatica anche a seguirle da casa. Preferisco attendere la fine». Ma il calcio è così: fatto di esaltazioni improvvise e di crolli inaspettati. «Ogni volta che i rossoblù scendono in campo, non posso fare a meno di sperare, di credere che sia la volta buona per ambire a qualcosa di importante».
Nel tempo libero si diletta nella lettura grazie alla sua tavola Braille, che le permette di connettersi col mondo, oppure rimane ore e ore a parlare al telefono con le sue amiche. Ora in pensione, Maria Teresa è stata un’insegnante di musica alle scuole medie, ma ancora oggi non riesce a stare lontana da quei banchi. È una costante che non l’ha mai abbandonata, così come la fede per il Bologna, anche se alcune scelte societarie le hanno fatto storcere il naso parecchie volte: «A volte vorrei entrare io in sede e dire la mia, perché certe decisioni proprio non le capisco», scherza, mostrando il suo spirito critico da tifosa.
Il servizio è tratto dal "Quindici" n.2 del 30 aprile 2025