sanità

Medico in corsia. Foto Pexels
Mentre non si ferma il rimpallo di accuse fra ministero della Salute e Regioni, i dati forniti da Viale Aldo Moro, sede del nostro ente locale, mostrano numeri preoccupanti sulle liste di attesa, piuttosto gravi soprattutto nella dermatologia di alcune città dell'Emilia, dove fino a tre quarti delle visite a 30 giorni non riescono a essere erogate. Su Bologna grava anche la sospensione di Bianca Maria Piraccini, primaria in dermatologia al Sant’Orsola, per una presunta violazione dell'esclusività del mandato pubblico, esercitando anche privatamente.
In Emilia- Romagna, i dati del portale statistico regionale segnalano, come detto, grosse difficoltà nell’erogazione delle visite dermatologiche. Dalla piattaforma Tdaer per il monitoraggio dei tempi d’attesa, si osserva come negli ultimi tre mesi, rispettivamente il 36, il 46 e il 44% delle prenotazioni per visite dermatologiche non ha ottenuto risposta entro i 30 giorni stabiliti dalle norme sanitarie. La ferita che affligge la dermatologia permane dal post-pandemia, con picchi diversi fra le diverse Ausl. Modena fanalino di coda con statistiche deludenti: nel solo mese di aprile 2025 sono rimaste scoperte il 74% delle prescrizioni. Stessa percentuale per Imola nel febbraio 2025, la quale però guadagna terreno nelle settimane successive fino a quasi triplicare la copertura. In Romagna, invece, la situazione è buona: Rimini, Cesena e Ravenna erogano il 100% delle visite prenotate.
Anche a Bologna numeri incoraggianti: l’azienda sanitaria riesce a coprire l’85% delle richieste, ma, a rallentare l’erogazione delle visite non è solo la nefasta combinazione di carenza di fondi e “prescrizioni inadeguate” al caso clinico. Ieri la primaria del Sant’Orsola e direttrice della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia dell'Ateneo felsineo, Bianca Maroia Piraccini, è stata sospesa dal suo incarico. La dirigente medica avrebbe fatto visite in libera professione fuori dall’ospedale, retribuite privatamente, quando invece avrebbe potuto farlo solo in regime intramoenia. Ovvero prestazioni a pagamento svolte dentro alle mura dell’ospedale. A denunciare il fatto l’Alma Mater, in virtù dell’esclusività del mandato. Si attende il ricorso del legale del medico. La docente sostiene di aver operato con la piena autorizzazione dell’università.
Tornando al rimpallo di accuse fra ministero della Salute e le regioni, queste ultime da un lato lamentano un’invasione delle competenze e stanziamenti di fondi non sufficienti, il ministro della salute, Orazio Schillaci, dall’altro, sta lavorando all’approvazione di un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri), per definire i poteri sostitutivi dello Stato in caso di gravi inadempienze regionali nello snellimento delle liste d’attesa. Provvedimento paventato a seguito della recente indagine dei Nas sulle irregolarità diffuse a livello nazionale in una Asl su tre come agende chiuse e liste di galleggiamento, ossia elenchi di utenti in attesa di una visita per cui non vi è disponibilità immediata. Nel mezzo rimangono i cittadini bisognosi di cure e senza risposte.
Un tema spinoso quello del duplice rapporto pubblico-privato su cui si espresso nei giorni scorsi per “La Stampa” anche il ministro Schillaci, facendo un passo in più. Il problema sta a monte o, meglio, dentro ai nosocomi. L’intramoenia, nata per abbattere le liste d’attesa, rischia ora di ingolfarle: «La norma è chiara, l’intramoenia è una possibilità che non può superare o sovrastare le prestazioni ordinarie. I direttori generali delle aziende devono assicurare il rispetto di questa disposizione perché spesso si è notato che la media veniva calcolata per dipartimento, ovvero per gruppo di lavoro, nascondendo squilibri non accettabili».