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Enrico Di Stasi (foto concessa da Di Stasi)

 

«Un po’ per scaramanzia, un po’ perché voglio ritornare a una dimensione classica e ordinata del partito, chiarirò tutto venerdì in conferenza stampa, quando la mia candidatura sarà ufficializzata». La candidatura è quella di Enrico Di Stasi, unico in corsa per la segreteria provinciale del Pd. Un nome solo, dopo settimane di dibattiti e di incomprensioni tra l’anima progressista del partito (guidata da Elly Schlein) e quella riformista (capeggiata da Stefano Bonaccini). Un nome su cui, per ora, sembrano finalmente essere d’accordo le diverse correnti dei Dem cittadini, che attendono l’ufficializzazione della candidatura entro le 12 del 22 maggio e poi il voto dei circoli che si esprimeranno, a questo punto solo nel nome della formalità, dal 29 maggio al 15 giugno. Una formalità che non inciderà sull’esito del congresso, certo, ma che sarà comunque indicativa dell’umore e dell’apprezzamento degli elettori di quel partito che ancora, nel suo simbolo, porta piccolo piccolo uno stilizzato ramo d’Ulivo.

E se Romano Prodi, contattato da InCronac@, dice «di non saperne niente» e, incalzato a esprimersi sui rischi che potrebbe comportare la mancanza di uno scontro dialettico e ideologico sulle due facce del partito (da far decidere, nei suoi esiti, a coloro che a quel partito sono iscritti), ribadisce «non parlo e non mi esprimo su cose che non so», Di Stasi si prepara ad afferrare le redini provinciali di una compagine politica che sembra sempre sul punto di una crisi di non ritorno. E che poi, a seconda dei casi, rinasce come una fenice o si adagia sui miti fondativi di quel congresso battesimale di Torino del 2007 in cui Walter Veltroni accettava la «missione di fare un’Italia nuova».  

Nato nel 1978, una laurea in consulenza del lavoro e relazioni aziendali, prima assessore ai Lavori pubblici, poi la scalata nel consiglio di amministrazione del gruppo Hera (che gestisce i servizi ambientali, idrici ed energetici in Regione), la direzione della segreteria politica del sindaco Matteo Lepore, la delega in Atesir (l’Agenzia territoriale regionale per i servizi idrici e i rifiuti), quella nelle politiche per la legalità e per i fondi europei.

A InCronac@ manifesta la «necessità di rimettere al centro non solo il segretario del partito, ma il partito stesso, con le sue specificità e il suo potenziale, ricostruendo un rapporto di collaborazione serio e di reciproca fiducia con la stampa in generale e con i giornalisti. Partiamo tutti insieme venerdì e la mia segreteria sarà un'occasione per conoscerci». Un futuro segretario che qualcosa da chiarire indubbiamente ha, soprattutto in relazione ai numerosi incarichi che ha rivestito e che riveste tutt’ora, primi fra tutti il posto da consigliere di Hera e la direzione della segreteria del sindaco Lepore. La prima è una società partecipata a controllo pubblico, una delle maggiori aziende italiane per fatturato, con un patto di sindacato che blinda nella sostanza il 45% delle azioni detenute dai Comuni dei territori in cui Hera opera, con una partecipazione rilevante del Comune di Bologna pari al 12,59%. La seconda è il cuore pulsante della faraonica macchina comunale, il supporto indispensabile per la buona riuscita degli iter che coinvolgono gli atti ammnistrativi municipali e la tenuta dei registri. Sia chiaro, almeno giuridicamente non c’è un’espressa incompatibilità tra queste mansioni e quella (futura) della segreteria provinciale del partito democratico. Almeno non esiste un’incompatibilità strutturale, emergendo piuttosto questioni di pura e semplice opportunità, di buon esempio che il nuovo futuro segretario sembra perseguire. L’importanza delle segreterie provinciali sta proprio in questo, nell’essere più vicine ai cittadini di quanto non tentino di fare le segreterie nazionali, attingendo dal basso il consenso. A patto di partire con il piede giusto.