Calcio

La Torre di Maratona dello Stadio Dall'Ara (foto di Edoardo Cassanelli)
Vi è mai capitato di passeggiare per una normalissima via di Bologna, una via residenziale, silenziosa, fuori dal centro storico, e imbattervi in delle mattonelle di ottone incastonate nel cemento del marciapiede e recanti dei nomi incisi? I luoghi di una città non sono solo meri parti di quotidianità, ma pezzi di memoria, brandelli di una realtà che ai più appare lontana, ma che in realtà non lo è affatto. Tra le tante particolarità della storia di Bologna c’è quella di essere legata a doppio nodo a un uomo singolare, Arpad Weisz, allenatore della squadra di calcio del capoluogo emiliano, il Bologna Football Club 1909, che all’apice del successo dovette abbandonare tutto per fuggire dalla barbarie nazifascista. Ungherese di origine ebraica, Weisz capitò a Bologna nel gennaio 1935 e se ne innamorò. Il suo nome ancora vive in quei posti cittadini che rappresentano il suo spirito e il suo lavoro. Posti che gettano luce sull’ebbrezza sportiva del passato e sulla fredda imparzialità della Storia.
Ma, innanzitutto, dei brevi cenni su questa figura del mondo del calcio. Dopo una breve esperienza come calciatore in diversi club – tra i quali figura l’Inter, l’ultimo in cui giocò prima del suo ritiro nel 1926 per un infortunio curato male – divenne presto un allenatore apprezzato nell’ambiente, elogiato per la sua professionalità e il suo rigore tecnico. Oltre a ciò, era rispettato per le sue qualità di persona onesta, misurata, riservata e gentile. Con in mano le redini del Bologna, mise la parola fine al dominio della Juventus, portando i rossoblù alla ribalta grazie alla conquista di due scudetti del campionato italiano in due annate consecutive, 1935-1936 e 1936- 1937. La prima finì con un 3-0 contro la Roma con appena sedici giocatori (un record), la seconda con un 2-0 contro la Triestina. Era un eccellente risultato per la sua carriera aver ottenuto tre scudetti con due squadre diverse (l’impresa con l’Inter fu nell’annata 1929-1930). Si aggiunga pure l’ottenimento nel giugno del 1937 del Trofeo dell’Esposizione di Parigi, manifestazione dedicata al calcio europeo, che grazie alla vittoria sul Chelsea per 4-1 fece diventare Weisz una leggenda al di fuori dei confini italiani. Facendo un passo indietro, occorre anche ricordare che nell’agosto del 1936 Weisz e i suoi giocatori vennero invitati a Roma dal governo fascista in occasione delle onorificenze agli atleti italiani distintisi alle Olimpiadi di Monaco. I rossoblù, avendo vinto il campionato, furono inseriti nelle celebrazioni. Lì Weisz incontrò Mussolini, capo del governo, che sarebbe diventato in poco tempo l’artefice della sua condanna alla fuga in quanto ebreo. Sì perché la sua fama non fu abbastanza per evitare che l’ombra nazifascista, basata sulla fallace concezione della pura razza ariana, giungesse fino a lui e alla sua famiglia. Con la proclamazione in Italia delle leggi razziali, nel 1938, i Weisz furono costretti a fuggire e, dopo qualche peregrinazione, si stabilirono in una piccola città dell’Olanda, Dordrecht. Ben presto però la Germania hitleriana arrivò a quelle latitudini, per ghermirli e trascinarli nel fondo nero di Auschwitz, dove l’essere umano diventava nulla e il sentimento non incontrava alcuna pietà. Giunti in quel campo della morte nel 1942, i due giovani figli e la moglie vennero immediatamente uccisi nelle camere a gas; lui, solo e spogliato di amore e identità, dovette vivere per diverso tempo nel dolore e nella fatica, per poi concludere anch’egli la parabola della sua vita in una camera a gas, nel 1944, a poco più di un anno dalla fine della guerra e di tutta quella distruzione, di tutto quell’orrore che si diramò come un cancro dal cuore d’Europa. Addentriamoci ora nei luoghi di Weisz qui a Bologna, che meritano di essere scoperti per chi ancora non li conosce bene o non li ha esplorati a fondo. Innanzitutto, la sua casa. Via Valeriani numero 39. I Weisz vi si trasferirono nell’aprile del 1936. La palazzina è sopravvissuta al trascorrere del tempo ed è giunta intatta fino a noi, con i suoi mattoni rossi a vista, “macchiata” dai toni verdi dei suoi alberi. La via è tranquilla, residenziale, a pochi passi dal campo da calcio della Virtus. Weisz era un uomo semplice, si potrebbe dire quasi “tutto casa e calcio”, perché effettivamente dal suo appartamento erano esigui i metri che lo separavano dal suo lavoro, il campo della Virtus e lo stadio. Ma in questa lunga strada non c’è solo pace e passione sportiva. C’è la memoria di tutta la famiglia Weisz, rappresentata, proprio di fronte al palazzo, da quattro pietre d’inciampo quadrate rivestite in ottone e incastonate nel cemento del marciapiede. Recano incisi quei pochi dati sulla nascita, l’arresto, la deportazione e la morte dei quattro Weisz, Arpad, la moglie Ilona, meglio nota come Elena, i figli Robert e Klara, italianizzati in Roberto e Clara. Dati che meritano di essere raccontati: Arpad nacque nel 1896, Elena nel 1908, Roberto nel 1930 e Clara nel 1934. Tutti furono arrestati il 2 agosto 1942 e deportati ad Auschwitz. Elena e i bambini morirono il 5 ottobre dello stesso anno, Arpad li seguì due anni più tardi, come detto, il 31 gennaio 1944. A una decina di minuti da via Valeriani si trovano anche le scuole elementari Bombicci, frequentate per un certo periodo dal figlio Roberto, almeno fino alla promulgazione delle leggi razziali. Oggi l’edificio scolastico si offre alla vista segnato, ferito dai decenni passati, con l’intonaco scrostato; un altro briciolo di testimonianza che non si arrende. Poi c’è lui, lo stadio. La storia di Arpad Weisz come allenatore del Bologna va di pari passo con la nascita dello Stadio Dall’Ara, intitolato allo storico presidente del club, Renato. All’epoca il nome della struttura era diverso, si chiamava Littoriale, per volontà di Mussolini, ed era stato voluto dal gerarca Leandro Arpinati. Parliamo di un forziere di ricordi e vittorie, di sogni e obiettivi raggiunti. Per rendere omaggio alla sua storia, al Dall’Ara gli è stata dedicata la curva sud, ed è stata poi installata una lapide in suo onore alla base della Torre di Maratona, ovvero la parte architettonicamente di maggior rilievo dell’impianto. Questo il giorno della memoria dell’anno 2009, centenario della nascita del Bologna Football Club. La lapide lo ricorda come uno degli allenatori più grandi e innovatori di sempre. Tutti questi posti finora citati sono vicini tra loro, racchiusi nel quartiere Porto-Saragozza, fuori dalle mura, ai margini del centro storico. C’è un posto che invece è dalla parte opposta della città, nella zona di San Donato-San Vitale. Si tratta di un piccolo polmone verde nascosto tra delle alte palazzine, in via Pietro Mainoldi. Un parchetto, con alberi, panchine e giostre per i piccoli, che porta il nome di “Giardino Arpad Weisz”. Edifici e memoriali da visitare custodiscono dunque l’immagine di una Bologna diversa, vista “da fondocampo” attraverso la vita di un uomo, vittima dell’Olocausto, che dedicò tutto se stesso al pallone, che rese immortale una squadra e che divenne simbolo di come lo sport sia in grado di unire, nel dolore come nella gioia, i popoli. Il suo esempio ci ricorda come bastino poche gesta, persino il semplice calcio a una palla, per segnare nella terra la parola “libertà”, che nel mondo dello sport significa soprattutto voglia di partecipazione.
L'articolo è tratto dal Quindici n.5 del 12 giugno 2025