concerti

Filippo Graziani

Filippo Graziani sul palco del "Celebrazioni". Foto di Paolo Pontivi

 

Filippo Graziani, la sera del 15 aprile, al Teatro Celebrazioni, ha festeggiato il padre Ivan che nel 2025 avrebbe compiuto ottant’anni. «Bologna è una tappa speciale di questo tour, io sono nato a Rimini, siamo cugini, e il calore di questa città è unico. Stasera è un compleanno, alzatevi, ballate, festeggiamo». Sul palco c’è una torta di luci a led, realizzata dall’artista Marco Lodola, ci sono le foto di Ivan. C’è il figlio che ha le corde vocali (quasi) come quelle del padre. Ci sono le sue canzoni, la sua musica.

Una perfetta combinazione di testi e di stili armonici che spaziano dal Rock&Roll degli anni ‘60 («Mio padre era legato con un filo rosso ai Beatles»), passando dal blues, dalle ballate, fino alla melodia classica italiana.

Pezzi apparentemente semplici dietro cui, quasi sorprendentemente, si nasconde una scrittura simbolistica, subliminale. E come il «Barbarossa, studente in filosofia» di “Firenze (Canzone Triste)”, Filippo, tra una chitarra e l’altra, davanti a un falò immaginario e a un microfono panoramico, unisce i membri della band, tra cui c’è il fratello Tommaso alla batteria, e canta.

Canta come avrebbe voluto il padre due pezzi poco conosciuti del cantautore teramano, di origini abruzzesi e sarde, rimaste inedite fino alla pubblicazione, nel 2024, dell’album postumo “Per gli Amici”. La struggente “Canzone dei Marinai” e “La Rabbia”. E il pubblico in silenzio si gode un momento sussurrato, al riparo dai megawatt degli amplificatori, del canto urlato a tutti i costi, dell’esibizionismo fine a se stesso.

«Mio padre diceva che un vero artista, un vero cantante, si vede quando gli togli tutto il superfluo attorno, riducendo le distanze tra chi si esibisce e il pubblico. Così si crea quella magia irripetibile che solo la musica può regalare».

Ma la magia, il pubblico di tutte le età del “Celebrazioni”, insieme a Graziani, la replica anche sui pezzi più famosi. Quando partono le prime note di “Agnese”, di “Pigro” o di “Monna Lisa”, cantata e suonata con il chitarrista bolognese Federico Poggipollini, un maestro delle corde elettriche, ex Litfiba e oggi con Ligabue.

La platea del teatro si trasforma in una discoteca di fine anni settanta, sembra di stare al Picchio Verde di Carpi. C’è il più giovane che improvvisa un “pogo” ai limiti del metal e del punk, le coppie di mezza età che ondeggiano romanticamente e i più anziani che con una certa timidezza si muovono sulla mattonella.

La calma ritorna con gli accordi iniziali dell’intramontabile “Lugano Addio”, perché in fondo, Marta ce la ricordiamo un po’ tutti così, con «le scarpe da tennis bianche e blu, i seni pesanti e le labbra rosse, la giacca a vento». Ce la ricordiamo come un momento d’amore che si è realmente vissuto, anche soltanto sognato, immaginato, non è così importante. La musica di Ivan Graziani ci riporta a un preciso istante della nostra storia culturale e cantautorale in cui tutto sembrava che andasse per il verso giusto, che tutto fosse possibile. Che ci fosse il tempo, l’ambizione e il desiderio di prendersi cura di se stessi, ascoltando l’istinto senza la vergogna d’amare, senza il predominio di una tecnocrazia ormai asfissiante.

Un artista, Ivan, che dovrebbe essere ricordato più spesso. Almeno con quella stessa intensità e sincero affetto manifestati per De André, per Tenco, per Battisti.

Che se lo merita.

Un estratto del concerto 

https://youtu.be/6SjYXvKX1qU