Regione

Il presidente dell'Assemblea legislativa Maurizio Fabbri (foto Ansa)
Maurizio Fabbri, presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, ex sindaco di Castiglione dei Pepoli, ex presidente dell’Unione dei Comuni dell’appenino bolognese, intervistato da InCronac@ non ha dubbi sul fatto che «tutto si deve programmare in base ai numeri di ieri. Le prestazioni sanitarie, il trasporto pubblico, il tram, il traffico. Bisogna avere il coraggio di provare a pianificare il servizio in base a quello che tu pensi che possa essere domani. Quindi stimolare la domanda laddove ora è più bassa. È difficile, bisogna studiare molto bene, ma credo che così facendo si risolvano tanti problemi».
A proposito di problemi, la Giunta del presidente Michele De Pascale ha agito con decisione sulle criticità della sanità in Regione, approvando anche interventi “scomodi”, se così possono essere definiti.
«Sì, è una Giunta che, a mio avviso, ha preso subito il toro per le corna, soprattutto sulla discussione in tema di sanità che si trascina da anni. In Regione il livello delle prestazioni sta progressivamente calando. C’è poi il problema delle liste d’attesa. Pensare di non fare interventi anche significativi come quelli che sono stati fatti era impossibile. Perché è vero, c'è il tabù di non toccare le tasche dei cittadini, ma il rischio era quello di perdere l'identità di questa regione, che è famosa in tutta Italia per l’impegno volto a limitare le disuguaglianze».
Disuguaglianze che si risolvono in quale modo?
«Fin dall’inizio del mandato sono stati presi degli impegni precisi, decidendo di intervenire sia sulla sanità che sul welfare. Certo, si sono toccate le tasche dei cittadini. Ma bisogna vedere quali cittadini sono stati coinvolti. Si verifica l’Isee e si chiede un piccolo sacrificio a chi se lo può permettere per garantire un sistema pubblico che è messo a durissima prova dalla composizione demografica. E non dimentichiamoci di quello che è successo durante il Covid. Si è chiesto alle Regioni di far fronte a quello che avveniva, di garantire comunque dei servizi pubblici e l'Emilia-Romagna ha contribuito più di altre».
Questo cosa ha comportato?
«All’epoca c’era il ministro di centro-sinistra Roberto Speranza, va detto. I rimborsi sono stati dati alle regioni non in base al livello di servizio, ma in base al numero di abitanti. Questo ha fatto sì che l'Emilia-Romagna si sia trovata con un buco di bilancio enorme, nonostante il grande impegno. Senza contare che i tagli del governo nazionale in carica rischiano di cambiare completamente il Dna della nostra regione. La giunta è stata costretta a fare quello che ha fatto».
Cosa ne pensa della proposta dell’assessore Isabella Conti di prelevare dalle tasche degli over 65 un contributo dai 200 ai 600 euro per arginare l’emergenza del trattamento dei sempre più numerosi anziani non autosufficienti?
«Stiamo parlando di un input che non è ancora stato discusso. Non commento le proposte di altri. Sicuramente ha il merito di squarciare un velo su un problema che è gigantesco e che lo sarà sempre di più. Si sta generando una situazione in cui un numero sempre minore di anziani riesce ad accedere ai servizi assistenziali. Ci sono molti cittadini che non possono permettersi la sanità privata e, quindi, smettono di curarsi. Una revisione del sistema è inevitabile, perché altrimenti anche qui le diseguaglianze saranno ingestibili. La politica è anche questo, sollevare un problema e farlo diventare un motivo di discussione. Basti pensare che addirittura in Svizzera si è esaminata la questione. Anche lì oramai il sistema non regge più».
Cambiando argomento, il dibattito sul fine vita in Emilia-Romagna ha diviso forse più che in altre regioni. Lei cosa ne pensa?
«Noi siamo di fronte a una Corte Costituzionale che dice: "Dovete legiferare". Dovete farlo perché c'è un buco normativo ed è una cosa scandalosa. Visto che il governo non lo fa, ci sono le Regioni che provano a rimediare. La Toscana ha fatto una legge, noi abbiamo fatto una delibera che più o meno dice le stesse cose. È evidente che anche l’ultima sentenza del Tar regionale abbia indicato che è il Governo che deve agire. Però non illudiamoci, questo Governo non lo farà mai. O se interverrà, non lo farà come vogliamo noi. Anche il presidente De Pascale è stato chiaro, si andrà avanti. C’è un'interlocuzione con il Consiglio dei ministri, necessaria affinché i nostri sforzi non siano vani».
Passando all’economia, la locomotiva dell'Emilia-Romagna sembra un po' in battuta d’arresto. C’è un boom di cassa integrazione e i dazi statunitensi incidono indubbiamente anche sull'esportazione. Come lo risolviamo, dal punto di vista legislativo regionale, questo problema?
«La crisi si sente e l'Emilia-Romagna è la regione con l'export più alto in Italia. Ci sono tante concause. Sicuramente la contingenza geopolitica ed economica è centrale. E poi c'è il grande problema legato all'energia, spesso poco menzionato. L’Italia la paga più di tutti gli altri paesi e questo mette continuamente in crisi il sistema, insieme alla difficoltà di reperire personale qualificato. In Assemblea legislativa la discussione è sulla gestione complessiva delle crisi. Ovviamente spetta poi all'assessore dedicato intervenire capillarmente, ma è all'interno dell'Assemblea che il dibattito viene fuori. Se c'è una crescita concentrata solo in una singola area di una regione, quando quella va in crisi tutto il sistema collassa».
Ecco, proprio con riferimento a questo, lei si è occupato molto delle aree interne e appenniniche. Cosa ha fatto e cosa pensa di fare per queste zone?
«Questa legislatura ha un numero importante di consiglieri che vengono dalle aree interne, dal Ferrarese o dall'Appennino, e, quindi, sicuramente, un'attenzione specifica ci sarà. Io però credo che serva una visione di insieme. Dopo il Covid c'è un interesse diverso anche della cittadinanza verso queste aree che non sono più viste come marginali e distanti, ma come un'opportunità. Ci sono territori dove le sperimentazioni si possono ancora fare, a patto che mantengano la loro identità e la loro autenticità».
Quindi?
«Io non credo che la soluzione sia semplicemente quella di spostare le attività e le politiche che coinvolgono la via Emilia nell’area appenninica. Anzi, credo che sia un errore gravissimo perché fare la brutta copia dell'originale significa perdere la sfida».
Un esempio pratico di come e dove agire?
«Va bene investire un sacco di soldi sulla collina, su alcuni borghi abbandonati, certo. Però si deve anche realizzare un treno che passi ogni venti minuti, sennò sono discorsi che non stanno in piedi. Anni fa la Regione ha fatto un accordo con il centro di ricerca Enea del Brasimone (impegnato nello studio per un nucleare più sicuro e a minor impatto ambientale, n.d.r.) per stimolare investimenti esterni. Ora sta funzionando, i risultati si vedono. Facendo così si riescono ad attrarre anche nuovi residenti e nuove professionalità, adottando un modello diverso rispetto al passato. Ancora, grazie all’intervento della Regione, ora in Appennino, dove non nasceva nessuno, ci sono gli asili nido e sono gratuiti. Ciò ha stimolato una domanda fortissima con liste d’attesa di due anni. E i giovani stanno tornando, infatti, sulle montagne».
E i trasporti?
«Le infrastrutture, come dicevo, sono fondamentali. Si è investito moltissimo sul Servizio Ferroviario Metropolitano. Le due linee, da Porretta a Bologna e da San Benedetto Val di Sambro a Bologna, ora sono collegate e compongono un anello, con un treno ogni venti minuti. È come se fosse una metropolitana di superficie, ma va rinnovata, la linea Porrettana è obsoleta. La politica deve cambiare mentalità, la Tper, ma anche Hera e le Asl hanno una gestione aziendalistica dei problemi, che spesso non si adatta alle scelte politiche. E questo è un grosso rischio che bisogna scongiurare, lavorando alla gestione futura in modo sinergico».
Ecco, proprio in relazione ai rapporti tra politica e aziende, il nuovo segretario provinciale del Pd Enrico Di Stasi è consigliere di Hera e direttore della segreteria politica del sindaco Matteo Lepore. Un po’ troppi incarichi?
«No, non credo che abbia troppi incarichi. Vede, c'è un tema fondamentale con cui bisogna fare i conti. Il taglio ai finanziamenti ai partiti genera dei problemi giganteschi. La segreteria del Pd a Bologna è forse la più importante d’Italia, ma è impensabile, dal lato economico, che un segretario faccia solo questo lavoro. Di Stasi è preparato, ha fatto esperienze fondamentali per conoscere a fondo il territorio e le sue esigenze. Penso che, nonostante i suoi stretti rapporti con Lepore, abbia tutte le capacità per continuare ad agire in modo autonomo».
Un’ultima domanda sul prossimo referendum. Si raggiungerà il quorum?
«Questo referendum deve diventare una battaglia di rappresentanza anche di certe istanze, di certi valori e di una certa visione del mondo. C'è il quesito sulla cittadinanza che io credo sia molto sentito dalle giovani generazioni. È importante che ci si impegni per qualcosa. Questo per dire che, se alla fine non si raggiungerà il quorum, ciò che conta è il risultato di partecipazione. E sarebbe già un bel segnale. Non sono un costituzionalista, ma la necessità del quorum rischia di rendere il referendum uno strumento inutile. Qualche accorgimento è necessario, magari prevedendo dei correttivi più rigidi per poter indire la consultazione. Che poi le istituzioni, prima l’allora presidente Giorgio Napolitano, adesso il presidente del senato Ignazio La Russa, incitino la popolazione a non votare, è modo per favorire il disimpegno».