INTERVISTA
Il segretario Pd di Bologna Enrico Di Stasi (foto concessa dall'intervistato)
Nel pieno del confronto sulle prossime Amministrative, il segretario del Pd di Bologna Enrico Di Stasi prende posizione: la città non è terreno di improvvisazioni né di operazioni mediatiche. Mette in guardia da candidature senza un progetto solido come quella di Alberto Forchielli, ridimensionando il paragone con Giorgio Guazzaloca, il sindaco che ruppe il muro di Bologna nel 1999. Poi respinge le accuse della destra sulla manovra: la cultura, sostiene, è un’infrastruttura strategica, non uno spreco.
In merito alle future elezioni amministrative lei ha scritto che “Bologna non è un palcoscenico, né un esperimento personale”. Come valuta dunque la candidatura di Forchielli?
«Con questa dichiarazione intendevo richiamare un principio semplice: Bologna è una città complessa, con una forte identità civica e istituzionale, non si può governare con l’improvvisazione né con operazioni mediatiche. La candidatura di Forchielli si colloca in questo nodo: più che un progetto per la città, finora abbiamo visto un racconto centrato sulla figura individuale. È legittimo candidarsi, ma governare Bologna è un’altra cosa, e non mi pare che Forchielli scaldi molto neppure a destra».
Se Forchielli e il centrodestra si alleano non teme che possa diventare un nuovo Guazzaloca capace di sconfiggere il centrosinistra?
«Il paragone con Giorgio Guazzaloca viene evocato spesso ma va storicizzato. Vinse in un contesto di forte stanchezza politica e di sottovalutazione del centrosinistra. Bologna non è al momento una città inerte o disillusa, sta vivendo al contrario forti trasformazioni. Un’eventuale alleanza di Forchielli con il centrodestra potrebbe funzionare solo se il centrosinistra smettesse di ascoltare la città».
Cosa chiede dunque Bologna?
«La risposta non è la paura ma la politica: governo serio, risultati concreti, capacità di tenere insieme sviluppo e giustizia sociale».
Glielo chiedo perché anche a sinistra si sono levate diverse voci che lamentano un eccessivo spostamento a sinistra di Lepore e anche autorevoli esponenti come Prodi e l’ex sindaco Merola hanno avanzato critiche per la cittadinanza onoraria concessa a Francesca Albanese. Non avverte il rischio di divisioni all’interno del centrosinistra?
«Si è discusso molto sul caso Albanese, in città, le critiche non vanno rimosse né banalizzate. Io stesso ho preso le distanze da alcune dichiarazioni di Francesca Albanese che ritenevo sbagliate. Tuttavia il pluralismo non si può considerare divisione. Storicamente a Bologna il confronto, anche aspro, è parte della forza della città. Il vero rischio non è discutere ma smettere di farlo perché in quel caso ci sarebbero delle vere divisioni».
A "InCronac@" il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami ha detto che voi considerate Bologna come una cosa vostra e ha aggiunto che Lepore vive una sorta di “dissociazione mentale” perché a volte parla di buoni rapporti col governo e in altre occasione dice che Bologna è sotto tiro. Lei come la pensa?
«Le dichiarazioni di Bignami vanno lette per quello che sono: una polemica politica. Dimostra di non conoscere la storica civica della città. Bologna non è di nessuno se non dei suoi cittadini. Quanto alla “dissociazione mentale”, mi pare al netto una frase poco elegante, ma ancor di più ci vedo l’incapacità della destra locale di stare nel dibattito cittadino, tanto da dover chiedere aiuto al governo».
Dunque questa doppia dialettica a cosa è dovuta?
«Si può, a mio parere, cercare un dialogo istituzionale con il governo e, allo stesso tempo, denunciare scelte che penalizzano i Comuni: non è incoerenza, è responsabilità».
In merito alla manovra di bilancio, Fratelli d’Italia accusa il Comune di spendere troppo per la Cineteca, Bologna Welcome e Istituto Parri e troppo poco per le scuole e la sicurezza. È davvero così?
«L’accusa di FdI è una rappresentazione distorta. La cultura a Bologna non è un lusso per pochi: è un’infrastruttura economica, sociale e identitaria. Produce lavoro, attrattività e coesione. Questo non esclude investimenti su scuola, welfare e sicurezza urbana, come stiamo dimostrando. Mettere questi ambiti in contrapposizione è una scelta ideologica, non un’analisi seria della manovra di bilancio».