Bologna Fc 1909

Stefano Dall'Ara allo stadio a  fianco dell'ex presidente del Consiglio Romano Prodi (foto concessa da Stefano Dall'Ara)

 

«Mio nonno Renato sarebbe stato felice di questo Bologna che in qualche modo assomiglia al suo». Stefano Dall’Ara, uno degli ultimi eredi del presidentissimo rossoblù che dà il nome allo stadio Comunale e che guidava lo squadrone dell'ultimo scudetto, da affezionatissimo tifoso del Bologna era all’Olimpico domenica scorsa per festeggiare la finale di Coppa Italia. Classe '63, Stefano Dall'Ara vanta una ventennale esperienza nel mondo bancario e del mondo cooperativo, dal dicembre 2024 ricopre l’incarico di presidente di Cfi, Cooperazione Finanza Impresa Spa, società controllata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Com’è stato vedere il Bologna all’Olimpico di Roma? Quali emozioni ha provato?

«Da bolognese, da tifoso e da nipote di Renato Dall’Ara ho assistito all’incontro con due facce: quella dell’appassionato e quella del cittadino ed è stato bellissimo. Io ero a Roma già da due giorni per lavoro e si respirava già un’aria diversa. Era pieno di tifosi rossoblù che giravano per le strade romane, c’era un clima di festa attorno allo stadio prima e dopo. Non c’erano tensioni o almeno io non ne ho percepita alcuna. Un clima davvero bello, pieno di anziani, donne, bambini, tutti con le divise che si mischiavano anche con i tifosi del Milan. È stata davvero una festa di sport riuscitissima. La Lega calcio, a mio parere, deve prendere un voto molto alto per questa manifestazione».

E dopo la vittoria?

«La festa è continuata per un bel po' per la premiazione, la metà dello stadio era bolognese e il clima caldissimo. E fuori ci siamo uniti ai tifosi del Milan».

Cosa direbbe suo nonno se fosse qui?

«Secondo me Renato, anche se da lassù, non è mai stato così felice come in questi ultimi due anni, nella storia che si è succeduta dal 64 ad oggi. Per lui sarebbero stati momenti emozionanti, per un Bologna che è tornato a vincere e per uno stadio così pieno. È una cosa che avrebbe enormemente apprezzato, oltre al fatto che questa è una squadra che ha molte analogie con la sua».

Quali per esempio?

«All’epoca lui era un imprenditore facoltoso ma non era in grado di competere con le grandi famiglie come gli Agnelli o i Moratti. Le somiglianze però riguardano talenti che sono stati trovati, cresciuti e lanciati. Una squadra costruita nel '62 che vinse poi lo scudetto nel '64, anche allora con un allenatore che era già vincente, Fulvio Bernardini, che è riuscito a conquistare le piazze».

Qual è il ricordo più bello che suo nonno raccontava del Bologna?

«I racconti che ho di lui sono tramandati da mio fratello e da mia sorella che avevano dieci e tredici anni. Renato spesso riportava alla mente l’incidente d’auto avvenuto di ritorno dalla Germania per firmare il contratto di Helmut Haller che è stato uno degli acquisti migliori della storia del Bologna. Durante il tragitto la macchina andò fuori strada, rischiarono di morire ma per fortuna non successe nulla. Lui però era preoccupato principalmente di arrivare in tempo per firmare il suo contratto. È una cosa che raccontava sempre, era spaventato ma divertito».

E lei invece cosa ricorda con gioia?

«Penso a vicende molto più recenti che risalgono allo scorso anno: la qualifica alla Champions. Per me è valsa quanto uno scudetto. Vedere una città così piena di gioia, è stata una soddisfazione e insieme un riconoscimento del valore di questa squadra».

Come ci si sente ad avere uno stadio a suo nome?

«È un motivo di orgoglio, la scelta negli anni 80 del comune di Bologna è stata emozionante per noi, qualcosa che Renato sicuramente avrà apprezzato. Un altro riconoscimento c’è stato poi nel 2017 quando Renato è stato inserito nell’"Hall of fame" del calcio italiano non solo come presidente del Bologna ma anche per i suoi cinque scudetti, sui sette complessivi totali della società, le competizioni affrontate e vinte. È il presidente più vincente della storia del calcio italiano, eravamo a Firenze ed ero circondato da tutti i "big" del settore. Credo di aver provato quasi la stessa emozione di Renato all’intitolazione dello stadio. Lo ha reso un uomo immortale anche per i giovani».

Crede che il sindaco Lepore stia facendo abbastanza per le infrastrutture sportive cittadine?

«Mi limito a dire, ed è un pensiero comune anche a molti amici, che venire allo stadio a Bologna è un’esperienza, è affascinante. Si tratta di un vecchio stadio inglese abbastanza intimo, quindi tutti coloro che vengono a Bologna per una partita rimangono affascinati anche dal clima che c’è, un clima di festa e di grande calore. La società è stata brava a creare questo clima che dieci anni fa non c’era. All'epoca, tensioni e manifestazioni erano molto più comuni e andare allo stadio non era così “friendly” come adesso. Ora andare allo stadio a Bologna è come andare a una festa». Il Comune lo vedo come un partner che ha giocato la sua parte nel successo del Bologna perché si sente questo grande feeling tra società e direzione comunale che va oltre il calcio.

Quale può essere il segreto, secondo lei, affinché le aziende abbiano successo e che cosa le ha lasciato suo nonno?

«Credo che il segreto risieda nelle persone, nella scelta e nella gestione delle persone giuste. In questo è speculare alla gestione di una squadra. Poi il Dna sportivo di Renato sicuramente mi ha toccato, ho giocato a basket e sono stato vicepresidente della lega nazionale pallacanestro, poi però dal 2010 mi sono dedicato completamente al mio lavoro di manager e direttore d'azienda e lo sport lo pratico solo a livello amatoriale. Continuerò fino a che il fisico reggerà».