Bologna Fc 1909

Nella foto concessa dall'autore e dal suo ufficio stampa, la copertina del libro 

 

Sei sono i trofei conquistati dal Bologna nelle Coppe europee ma infiniti sono i motivi per raccontare la storia del club e il ritorno dei colori rossoblù sulla scena internazionale con la presidenza di Joey Saputo. Una storia che parte da lontano e di cui vale la pena ripercorrerne le tracce. Il libro “Il Bologna in Europa”, edito da Giraldi, fa proprio questo: narrare le gesta dei protagonisti del club dalla sua fondazione ad oggi, senza nascondere i momenti più difficili e le due dolorose retrocessioni. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Fabio Campisi, l’autore del volume che è già in libreria.

 

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro e cosa si propone di raccontare?

«Sono un tifoso del Bologna da più di quarant’anni e già da ragazzino ho iniziato a seguire la squadra in radio, prima da tifoso e poi come praticante e in ultimo come professionista. Il Bologna è una passione e a me piace scrivere di quello che mi appassiona. Quest’ultimo volume nasce dalla grande esplosione recente del Bologna ed è un genere di libro che al momento non esiste. L’obiettivo è quello di narrare la storia del Bologna in pillole, partendo dalle sue origini e ripercorrendo le tappe più importanti della vita del club, come la prima storica vittoria nella Coppa dell’Europa Centrale, quando, nel 1932, una squadra italiana vinse per la prima volta in una competizione europea. Successo che venne poi fortemente sostenuto dal regime, che voleva promuovere e strumentalizzare lo sport al fine di diffondere un’ideologia incentrata sulla forza e sulla virilità, anche contro le rivali all’estero. D’altronde, ogni “capo di governo” voleva fare bella figura».

 

Qual è stato il lavoro propedeutico alla realizzazione di questo volume?

«Il libro racconta la storia del club attraverso i giornali dell’epoca firmati da giornalisti che hanno fatto la storia, tramite i quali si può anche capire come è cambiato lo stile dell’informazione nel corso degli anni e come si è trasformata la comunicazione nei giornali. Allora, ad esempio, si ribaltava l’ordine del tabellino di una gara mettendo per prima la vincitrice indipendentemente dalla squadra padrone di casa. Si possono quindi trovare anche piccole curiosità letterarie, come lo stile equivoco che si utilizzava in quel periodo».

 

Chi l’ha aiutata maggiormente nel raccogliere tutte le informazioni che le servivano?

«Mi reputo fortunato, perché sono amico di Lamberto Bertozzi, un prezioso collezionista e collaboratore di diversi editori, autore di molte pubblicazioni, che mi ha fornito tutti i giornali d’epoca in cui venivano trattate le partite e le imprese che racconto nel libro. Grazie al suo aiuto, mi sono potuto dedicare maggiormente al lavoro di scrittura, prendendo anche spunto dai tanti libri che sono inseriti nella bibliografia e sitografia, da cui ho attinto e da cui il racconto è partito».

 

Oltre al grande successo della scorsa stagione, il racconto tratta anche i momenti più difficili della storia del Bologna…

«Parlo anche delle due dolorose retrocessioni e anche dei momenti difficili che la società ha attraversato con Dall’Ara presidente, dopo il periodo che ricoprì da Commissario straordinario su incarico del regime. Ricordiamoci che Dall’Ara non era il petroliere di turno come Moratti o gli altri presidenti dei grandi club di Serie A ma gestiva un’azienda di maglieria. Dopo la guerra, riuscimmo a resistere acquistando anche giocatori che nessuno conosceva, ma, quando Dall’Ara morì nel 1964, chi subentrò cercò di tenere a galla la società senza potersi permettere grandi investimenti».

 

Con Saputo, però, il Bologna è tornato in alto…

«La sua presidenza ci ha permesso di riemergere dopo molti momenti critici e ha aperto un’era nuova, dopo i primi anni incerti sotto la sua gestione, nella quale ha dovuto capire come funzionasse il nostro calcio e la nostra città. L’era di Saputo, cominciata dieci anni fa, è esplosa definitivamente con l’arrivo di Motta, anche se sotto la gestione di Sinisa Mihajlović è iniziato tutto. Quei tre anni di limbo sono stati molto difficili, fra la malattia di Sinisa e la pandemia, ma ci hanno permesso di ottenere quell’impronta europea che oggi rimane fondamentale. I ragazzi negli spogliatoi parlavano per la prima volta di Europa quando c’era Mihajlović e questo gruppo, che è stato poi ereditato da Italiano, è maturato molto grazie a questa nuova mentalità».

 

Che impatto ebbe la malattia dell’allenatore serbo sulla squadra e sul percorso di crescita del Bologna?

«Mihajlović da fuori sembrava un sergente di ferro, ma la malattia ha cambiato il suo modo di approcciarsi ai giocatori, facendolo diventare più un padre che un allenatore. Da quel momento è subentrata nei giocatori la volontà di giocare anche per l’allenatore e, paradossalmente, hanno fatto meglio con i suoi sostituti che con lui. Molti giocatori, poi, sono maturati molto dopo quell’esperienza e proprio grazie alla malattia sono diventati i capitani aggiunti di oggi. Nella copertina del libro abbiamo inserito Ferguson, ma potevano essere anche altri. Apro un inciso. La cover, così come tutte quelle della casa editrice Giraldi, è totalmente plastic free. Una scelta editoriale per il 2025 che ho condiviso appieno». 

 

Cosa ne pensa della stagione del Bologna di Italiano?

«Potevamo fare meglio all’inizio ma col senno di poi non si va da nessuna parte. Dobbiamo anche ricordarci che Italiano ha iniziato il ritiro con metà squadra, tra infortuni e giocatori impegnati agli Europei, Olimpiadi e Coppa America. E le perdite di Zirkzee, Calafiori e Saelemaekers sono state molto importanti, ma i loro sostituti hanno fatto la differenza. Nonostante le difficoltà e una squadra incerottata e con la “pareggite”, come si raccontava sovente, credo però che il Bologna sia nato proprio lì».

 

Il giudizio è positivo quindi?

«Io credo che le considerazioni si debbano sempre fare alla fine. Penso che Italiano abbia fatto benissimo ma il giudizio deve essere comunque misurato. Penso anche però che fosse il miglior allenatore che il Bologna potesse prendere, considerando l’ingaggio accessibile, che è uno dei criteri da seguire per una società che vuole mantenere un bilancio sostenibile».

 

Cosa distingue Italiano da Motta?

«Italiano esprime un gioco offensivo e aggressivo, migliore di quello del suo predecessore, che rispetto pur non avendo mai avuto massima considerazione. Alcune partite dello scorso anno sono state sofferenti e stucchevoli mentre oggi si respira un entusiasmo diverso. Ribadisco però che il giudizio su Italiano deve essere misurato, perché basta poco per incrinare il rapporto con la piazza. Nel libro racconto proprio la storia di Guidolin che, dopo essere stato accolto con grande entusiasmo dopo una gestione nebulosa di Buso, è finito per essere fischiato e vessato pesantemente da dietro la panchina. Sono certo però che se ci dovessimo salutare, Italiano si comporterebbe diversamente da Motta, che ha calpestato quanto di buono aveva fatto».

 

Tra le dediche del libro, ce n’è una a Bruno Pizzul, scomparso di recente. Che ricordo ha di lui?

«Quando scrissi il libro su Pascutti, chiesi a Pizzul di fare una presentazione del libro, visto che, da friulano, aveva seguito molto le sue avventure. Lui, senza che gli mandassi neanche la bozza del libro, mi inviò subito una presentazione in cui sembrava che avesse già letto il libro e questo ha significato per me molto, avevo compreso di avere fatto un buon lavoro. Purtroppo non ho coltivato abbastanza questo rapporto ma, nonostante ciò, l’ho sempre sentito molto vicino. È stato poi un grandissimo telecronista, che con uno stile sobrio e moderno lasciava alla partita il ruolo di protagonista invece di esserlo lui stesso».