Suicidio Assistito

Il dispositivo di Neuralink realizzato dall'azienda di Musk (foto: Ansa)

 

Il 6 maggio una procedura di suicidio assistito, programmata da tempo, sarebbe dovuta giungere al suo esito finale. Liberando dalla sofferenza un paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (Sla), che mesi fa aveva completato la complessa procedura anamnestica e burocratica con esito positivo.

Il Comitato regionale per l’Etica e per la Clinica (Corec), in forza della delibera regionale adesso sospesa dal Tar dell’Emilia-Romagna, aveva confermato la sussistenza di tutti i presupposti indicati dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019. La volontà di morire manifestata con una richiesta espressa, una patologia irreversibile da cui derivino sofferenze intollerabili, la vita appesa a trattamenti di sostegno artificiale. E una piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.

Libertà di scelta che Flavio (nome di fantasia), bolognese, da anni costretto all’immobilità dalla malattia neurodegenerativa, aveva esercitato. In nome non tanto di una legge inesistente, quanto di quello che ritiene sia il più elementare diritto che un essere umano possiede fin dalla sua venuta al mondo. Quello di decidere non solo come vivere, ma “se” vivere, quando il dolore diventa insopportabile e l’esistenza stessa si riduce a un’ombra di quello che era stata o che sarebbe potuta essere.

Adesso Flavio è appeso al filo dell’incertezza, bloccato non solo dalla malattia ma dalle lungaggini procedurali e dall’apatia legislativa.

E chi, sulla leva dell’obiezione di coscienza, si oppone alla possibilità di ammettere e disciplinare definitivamente il suicidio assistito, trova terreno fertile nei presunti progressi della scienza e dell’intelligenza artificiale.

La scienza di Elon Musk e della sua “Neuralink”, centro di sviluppo di nanotecnologie, che alcuni giorni fa ha impiantato nella corteccia cerebrale di Brad Smith, un cittadino americano affetto da Sla e incapace di parlare, uno speciale dispositivo in grado di leggere l’attività neuronale e di controllarne i movimenti, comunicandola poi a un computer che la traduce in testo. In parola. L’intelligenza artificiale ha poi riprodotto la voce di Smith grazie alla campionatura di vecchie registrazioni, dando l’illusione di una vita che può definirsi tale. Sembra un film di fantascienza, una trovata pubblicitaria, una distopica distorsione dell’eterna convinzione che l’essere umano sia padrone di ciò che è e di ciò che vuole essere. E, invece, è la realtà, piaccia o meno. Un passo avanti indubbiamente sorprendente che porta con sé il risvolto di un’inquietudine che coinvolge da sempre il rapporto tra uomo e macchine. Macchine che oggi sembrano sempre più desiderose di sostituirsi alle attività quotidiane che affollano le esistenze di tutti noi, così che viene spontaneo riflettere su quanto, in fin dei conti, ci potremo spingere in avanti, oltre e ancora oltre. Perché se la tecnologia e l’intelligenza artificiale consentono e consentiranno ai malati di Sla e di altre patologie altamente invalidanti di poter finalmente esprimere i propri pensieri, realizzare video solo immaginandoli, concentrarsi solo sui movimenti della lingua per far sì che lo schermo del computer si illumini con quello che si vuole dire. Ecco, se porteranno solo a questo, c’è solo da gioire. Ma il dubbio e gli interrogativi rimangono.