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«Chi nasce in questi territori è fortunato perché qui l'aspettativa di vita e le possibilità terapeutiche sono maggiori che in altre regioni». Lo ha detto questa mattina l’assessore regionale alla sanità, Massimo Fabi, celebrando i 60 anni dal primo screening per il tumore della cervice uterina in Emilia-Romagna. «Questo modello deve trascinare l’intero panorama nazionale – ha continuato l’assessore –. Gli screening oncologici in questa regione hanno i livelli più alti di adesione e questo vuol dire salvare delle vite. È una cultura che deve essere diffusa ancora di più a livello dei cittadini e noi sentiamo a pieno questa responsabilità».

  

Il convegno sui sessant’anni dell’Oncologia emiliana è un’occasione per ripercorrere l’evoluzione del rapporto tra cittadini e sanità pubblica regionale. Oggi l’Emilia-Romagna è un laboratorio di innovazione, con una consolidata Rete oncologica che ha contribuito a creare una cultura al cui centro c’è la persona e non la malattia. «La sostenibilità del sistema sanitario – sostiene Fabi – non si fa sul piano economico-finanziario, ma con la qualità delle cure, che si fonda su quattro pilastri: efficacia, efficienza, appropriatezza e comparabilità del peso economico». Ogni intervento, aggiunge, va fatto «sul paziente giusto al momento giusto, non si possono sprecare risorse e tempo».  

 

Carmine Pinto, coordinatore della Rete Oncologica regionale nata nel 2022, ha spiegato che il modello emiliano funziona perché riesce a garantire equità, accesso e soprattutto qualità dell'assistenza: «La sopravvivenza per i malati di tumore in questa regione è del 68%, la media nazionale è intorno al 63%. Abbiamo un 5% di sopravviventi in più. Siamo la prima regione per la presa in carico dei pazienti residenti e tra le prime cinque per i tempi d’attesa». Un panorama in cambiamento, così come la composizione della popolazione in cura: i malati sono più anziani e c’è una maggiore presenza di cittadini di altri paesi. Un modello che Pinto rivendica come «di assistenza sociosanitario, perché oltre alla componente clinica, sta diventando rilevante anche la componente sociale. Abbiamo popolazione più anziana, nell’anno 2024-2023, quasi 25.000 persone in più oltre i 65 anni, e un 13% di nuove diagnosi negli immigrati». 

 

A margine del convegno, l’assessore Fabi ha poi garantito che i Cau «continueranno a funzionare anche nel 2026, perché hanno dato risultati positivi», rassicurando gli operatori con il contratto in scadenza a fine anno.

 

Uno scenario roseo, quello prospettato dal servizio sanitario regionale, che va a cozzare con i dati diffusi sempre questa mattina da Cgil Emilia-Romagna relativamente al 2024. Secondo il segretario regionale Massimo Bussandri, sarebbero infatti 400.000 i cittadini emiliani che nel 2024 hanno rinunciato alle cure, principalmente per ragioni economiche, e la spesa media pro capite di chi ricorre al settore privato ammonterebbe a 860 euro. Come ammesso dallo stesso Pinto, alcune carenze sistematiche sussistono: «Abbiamo problemi economici, di posti vacanti, problemi di personale, penso per esempio alla radioterapia, dove molti posti sono stati scoperti per il 2025 con medici in formazione specialistica. Un altro grosso problema sono gli infermieri che mancano».