Femminicidi

Le scarpe rosse sono un simbolo universale di solidarietà con le donne vittime di violenza (foto Ansa)

 

Nadia Khaidar. 50 anni. Picchiata, accoltellata, tre mesi di agonia su un letto d’ospedale. Tania Bellinetti. 47 anni. Precipitata dal balcone di casa sua. Alessandra Matteuzzi. 56 anni. Presa a calci, pugni e martellate. A Bologna, come nel resto d’Italia, si continua a morire di patriarcato. A soffrire, spesso in silenzio. Ma c’è chi è pronto ad ascoltare, ad aiutare, ad accogliere il dolore di chi è accanto. Grazie a quella rete locale che, rafforzatasi in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che cade il 25 novembre, permette di dare tutto l’anno un supporto concreto a chi è in difficoltà. A partire dalle associazioni del territorio, che, tra le tante attività, si fanno anche carico del difficile e doveroso compito di raccogliere e aggiornare periodicamente i dati sulle vittime di femminicidio. Difficile, perché non esiste una banca dati istituzionale condivisa. Doveroso, perché è solo raccogliendo dati il più possibile precisi che si può conoscere, comprendere e combattere un fenomeno. Ma non sono da sole.

A Bologna sono diverse le iniziative messe in atto, in particolare nel mese di novembre, per arginare il problema della violenza di genere. I negozi della catena Despar hanno deciso di intervenire a livello capillare tramite la distribuzione di opuscoli informativi. Inoltre, sul retro degli scontrini della spesa, sono stati posti il numero antiviolenza nazionale 1522 e un Qr code che, inquadrato, fornisce indicazioni e recapiti dei centri antiviolenza del bolognese. Un impegno che ha come obiettivo quello di intercettare chi ha bisogno di aiuto ma non sa come chiederlo. Non sempre, infatti, la richiesta di aiuto è scontata. Una commissione parlamentare d’inchiesta che ha analizzato le sentenze di femminicidio tra il 2017 e il 2018 ha fatto emergere un dato indicativo: il 60% delle vittime non aveva raccontato a nessuno, né alla madre, né alle amiche, quello che stava vivendo nella relazione. «Questo tipo di iniziative sono importanti nell’ambito delle comunità locali, perché non fanno sentire le persone sole», commenta in merito la giornalista Donata Columbro. Un’iniziativa per la prevenzione è stata messa in moto anche dal team di DonnaxStrada. In collaborazione con l’Università della California - Berkeley, sono stati creati centinaia di "Punti Viola" sul territorio nazionale. Si tratta di esercizi commerciali aperti al pubblico, che hanno aderito al progetto premunendosi di sensibilizzare e formare il loro personale contro la violenza di genere, per la sicurezza delle donne che chiedono aiuto. L’obiettivo generale è quello di attivare il singolo cittadino nel contrastare la violenza, partendo proprio dal territorio e dalla costruzione di una rete che possa sostenere le vittime. Nell’area metropolitana di Bologna ce ne sono 16. Uno di questi è Kardi boutique in Via Saragozza, gestito dalla titolare Lollo e da sua figlia Dalila. «Abbiamo aderito al progetto da quando abbiamo aperto il negozio circa un anno fa. Non abbiamo per ora ricevuto richieste di aiuto, ma lo facciamo presente spesso alle ragazze che entrano, soprattutto alle studentesse di ingegneria che hanno la sede universitaria vicino a noi», racconta la titolare. Anche l’iniziativa di MondoDonna Onlus in collaborazione con la Conad di Via Larga e il Tuday Conad di via Indipendenza, attivata dal 4 al 30 novembre 2025, è pensata sia per sensibilizzare sull’argomento che per raccogliere fondi per la causa. Tramite l’acquisto di una confezione di biscotti artigianali, il singolo cittadino può devolvere 1 euro al centro antiviolenza. «Oltre alla raccolta fondi, ci occupiamo anche della distribuzione di materiali informativi. I Qr code per accedere al numero del nostro centro antiviolenza sono anche posti nei bagni pubblici per raggiungere più donne possibili, per dare loro l’informazione giusta e un aiuto concreto», ha raccontato Loretta Michelini ai microfoni di InCronac@. È una lotta quotidiana che non si esaurisce nel mese di novembre, perché «la consapevolezza della violenza di genere è una lente che una volta messa non puoi più togliere. Il pattern sociale a cui ricondurre molti dei fenomeni è quello del patriarcato», sostiene l'attivista Sara Testa.

I report trimestrali del Ministero dell’Interno oggi parlano solo di donne vittime di “omicidi volontari”, mentre è solo dal 2019 che l’Istat ha iniziato a distinguere i casi di femminicidio, rendendo pubblici i dati dal 2022 in poi. I numeri più aggiornati – ogni 8 del mese – sono quelli dell’associazione "Non Una di Meno" (Nudm), che dal 2020 registra i casi dai media, compresi i tentati femminicidi, restituendo un quadro estremamente dettagliato della situazione attuale, che continua e integra un lavoro di ricerca già intrapreso dalla Casa delle donne (Cdd) di Bologna tra il 2008 e il 2019. E che va inserito in una più ampia visione d’insieme. Analisi Istat dimostrano che, mentre gli omicidi di uomini dagli anni ‘90 ad oggi sono significativamente diminuiti (pur restando ancora numericamente superiori a quelli dell’altro genere), nello stesso arco di tempo le vittime donne di omicidio sono rimaste complessivamente stabili. Se ci sono crimini in contrazione, come gli omicidi legati alla criminalità organizzata (che coinvolgono quasi esclusivamente gli uomini), e altri totalmente spariti nel tempo, come i rapimenti, per la violenza contro le donne il caso è diverso. «L’unico crimine che non vede nessuno tipo di crisi è proprio il femminicidio. Ci attestiamo su una vittima ogni tre giorni», racconta Sara Testa, attivista dell’associazione Nudm. Numeri che, come si osserva dal grafico, dal 2008 al 2024 oscillano tra i 99 e i 134 casi all’anno, registrando una recente diminuzione, poiché i femminicidi dal 1 gennaio all’8 novembre di quest’anno scendono a 78. Diminuzione, però, che deve essere messa in relazione con il numero crescente di tentati femminicidi (triplicati negli ultimi tre anni, andando da 22 casi nel 2023 a 67 nei primi dieci mesi del 2025). A riprova della natura strutturale della violenza di genere. Secondo un report del Viminale di luglio 2024, sono quasi 24mila i reati spia registrati nel primo semestre dello scorso anno in Italia: 8.592 atti persecutori (con il 74% di vittime donne), 12.424 casi di maltrattamenti (l’81%) e 2.923 violenze sessuali (il 91%). A cui si aggiunge un dossier di agosto di quest’anno, che riporta dal 1 gennaio al 31 luglio 2025 un forte aumento degli ammonimenti del Questore rispetto a quelli dei primi sette mesi del 2024: 2.731 per stalking (+86,6%) e 4.840 per violenza domestica (+63,6%).

 

A sinistra in rosa i dati sui femminicidi della "Casa delle Donne". In viola quelli di "Non Una di Meno". In giallo i delitti tentati

 

Contare le vittime è doveroso anche perché dietro i dati ci sono le storie delle persone. Donata Columbro, giornalista specializzata nella divulgazione della cultura statistica, nel suo ultimo libro "Perché contare i femminicidi è un atto politico", edito da Feltrinelli (2025), sostiene che i dati vanno trattati come un fatto culturale, sociale e strutturale, non come un fatto provato. Solo così diventano un atto politico. «Ciò che viene fatto dall’associazione Nudm e dalla Cdd di Bologna è usare i dati come atto di cura. Contando, queste attiviste restituiscono dignità alle vittime – spiega Donata Columbro – e non fanno semplicemente un elenco, ma vanno a cercare anche quei casi meno noti, vanno a capire cosa è successo». «Le cronache locali – ha continuato la giornalista – fanno un grandissimo lavoro, perché sulle nazionali arrivano solo casi che riguardano donne bianche e giovani».

La nota frase di Frederick Douglas, "Il potere non concede mai nulla che non venga prima rivendicato", riassume bene quella che è stata la lotta femminista. Una storia lunghissima, di cui è bene ricordare almeno alcune tappe. Era il 5 settembre del 1981 e in Italia fu abrogato il delitto d’onore, approvato nell’ottobre del 1930 con l’articolo 587 del Codice penale Rocco. Prima di allora in Italia lo stupro era ritenuto un crimine contro la morale e non contro la persona. Era il 17 dicembre 1999 e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiarò il 25 novembre "Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne". L’11 maggio 2011 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa approvò la Convenzione di Istanbul, che fornì per la prima volta una precisa definizione di tutte le forme di violenza contro le donne, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che in quella privata. Nel 2023 l’Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani sceglie come parola dell’anno il termine “femminicidio” «per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale». «La parola “femminicidio” – dice la scrittrice Michela Murgia – non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Ci dice il perché». Da quanto emerso da recenti studi antropologici, la violenza di genere risulta elemento sistemico della nostra società. Angela Balzano, ricercatrice femminista e docente dell’Università di Unibo, ne parla in una trasmissione svizzera. In altre parole, descrivendo il genere maschile non come biologicamente violento, ma come storicamente “costruito” in questo modo. Balzano adduce il persistere della violenza di genere alla separazione netta tra la sfera pubblica e quella privata, che avrebbe condotto all’oblio della violenza domestica come elemento sistemico. Emblematica, in tal senso, la definizione di “patriarcato” che dà l’antropologa argentina Rita Laura Segato nel suo libro “Femminismi”: «Un mandato di mascolinità che l’uomo ricerca anche a discapito della propria felicità, e pur di rispondere a questo mandato è disposto a uccidere». «Il patriarcato non ha un’appartenenza nazionale né religiosa di provenienza, è un aspetto universale che ci riguarda tutti», ha commentato Loretta Michelini, presidente dell’associazione bolognese “MondoDonna”. Il fenomeno, dunque, non riguarda solo la società italiana. L’Onu, nel 2018, ha definito la violenza di genere «una pandemia globale». In realtà, stando ai dati Istat, l’Italia ha una delle incidenze più basse d’Europa sui femminicidi, indice del fatto che qualcosa nelle pratiche di prevenzione sta funzionando. «Il problema – conclude Columbro – è che vengono fatte iniziative, approvate leggi, ma poi non c’è una verifica dell’impatto di riuscita. Cosa invece fondamentale a livello locale».

 

Locandina di un Punto Viola (foto Ansa)

Il servizio è tratto dal "Quindici" n.8 del 27 novembre 2025