L'INTERVISTA

Ambrose Omo Irogho, conosciuto come “Jollytime” (foto concessa dall'intervistato)

 

«Chi non è d’accordo con quello che faccio sono solo quelli che usano sostanze». Così Ambrose Omo Irogho, 31enne nigeriano conosciuto online come “Jollytime”, sintetizza la sua missione. Sui social è diventato un paladino dell’anti-degrado: filma spacciatori e consumatori di droga nei parchi di Bologna e pubblica le immagini in rete. Dai Giardini Fava alla Bolognina, tra una pausa di lavoro e l’altra, Omo porta avanti la sua battaglia per la legalità.

Da quanto tempo vive a Bologna e quando ha iniziato la sua attività sui social?

«Abito a Bologna da quattro anni e lavoro attualmente in un autolavaggio. Quando sono venuto ai Giardini Fava per la prima volta, ho visto persone che usavano sostanze davanti ai bambini, senza alcun rispetto per il luogo. Ho cominciato a fare molti video che mandavo a Polizia e Carabinieri. Loro ogni tanto venivano per mandarli via, ma queste persone tornavano sempre. Così ho detto chiaramente che, se li avessi rivisti, avrei reso pubblici i video. Continuavano a venire anche mentre i bambini giocavano, correndo ovunque e lasciando siringhe e borse davanti agli scivoli. Allora ho iniziato a postare i video per mostrare a tutti cosa accadeva qui. Ora il parco è molto più tranquillo. I bambini possono giocare senza paura di trovare siringhe o altro».

Che rapporto ha con le forze dell’ordine e chi non è d’accordo col suo operato?

«Molto buono. Ieri ero con il comandante dei Carabinieri. Mi ha fatto molto piacere che abbia visto ciò che sto facendo. Chi non è d’accordo con quello che faccio sono solo quelli che usano sostanze. Alcuni mi hanno anche minacciato, come un ragazzo nigeriano che ho filmato. Due volte è venuto a minacciarmi e mi ha preso per il collo. Io non voglio alzare le mani su nessuno, quindi ho fatto una denuncia proprio ieri».

Cosa la spinge a rischiare anche la sua vita pur di denunciare chi si droga nei parchi, soprattutto davanti ai bambini?

«Mi dispiace non conoscere il nome del bambino di cui sto per parlare. Una volta eravamo al parco giocare a basket. Ho visto un bimbo prendere qualcosa da terra. Era una siringa. Per fortuna non c’era l’ago, solo la plastica. Poi ci sono ragazzi che salgono sugli scivoli, proprio dove i bambini mettono le mani, e lì si preparano il crack. Restano pezzi ovunque, anche sullo scivolo. Più di una volta ho dovuto salire io a spazzare e pulire. Voglio solo che i bimbi si divertano senza rischi o pericoli».

Quante persone ha intercettato in questi anni e qual è il suo rapporto con la community che ha creato su Instagram?

«Più di duecento in totale. Per quanto riguarda la mia community ci sono persone che fanno segnalazioni perché hanno visto amici o conoscenti nei miei video. Alcuni mi hanno ringraziato. Qualcuno ha trovato una sorella che cercava da anni, un altro mi ha detto che grazie a un video ha rintracciato il padre di una bambina di cinque anni. Alcuni non frequentano più il parco perché hanno risolto i loro problemi. Uno mi ha detto che sta facendo un percorso per smettere con il crack. Un altro è venuto a dirmi: “Grazie, ora sto lavorando, non faccio più queste cose perché non capivo neanche cosa stavo facendo”».

Vorrebbe che quello del content creator diventasse il tuo lavoro principale?

«Sì, vorrei farlo diventare il mio lavoro principale. Sto pensando di andare in Comune per chiedere di aprire un’associazione culturale, con un progetto dedicato ad allontanare chi usa sostanze negli spazi pubblici dove giocano i bambini e per riqualificare questi luoghi. Per ora sono da solo a fare questo servizio, quindi vorrei restare in questa zona, anche vicino a persone che conosco e che possono darmi una mano se succede qualcosa. In futuro vorrei fare qualcosa di più grande, con dei collaboratori».