Musica
Erick Sola in piazza Maggiore (foto concessa dall'artista)
C’è chi canta la propria storia, chi prende a prestito la storia di altri, chi suona la chitarra, il pianoforte elettronico e le percussioni, chi improvvisa un ballo della mattonella. Capelli lunghi, orecchini, tatuaggi, sobrietà improvvisa, pantaloni a patchwork, colori, chiaroscuri, trucchi leggeri e pesanti, microfoni che gracchiano, impianti audio da pochi spiccioli e impianti dell’ultimo modello. Spesso solo la voce e lo strumento. Niente amplificazione. Solo la passione e la necessità di avere un pubblico. È un’istantanea multiforme degli artisti di strada di Bologna, che delle piazze e dei vicoli del centro ne hanno fatto il loro palcoscenico. La custodia di una chitarra e un cappello come scenografia, qualche euro lasciato lí come un pegno di tenerezza, un cartoncino scritto a penna che invita il pubblico distratto dei passanti della domenica a iscriversi ai loro canali social, spesso ancora qualche compact-disc fatto in casa e la nostalgia dei tempi in cui la musica era anche una questione fisica, tattile, tangibile.
E se oggi le loro esibizioni sono regolate da severe norme comunali che impongono turni, orari, contributi e giri infiniti di burocrazie e modelli precompilati da firmare, gli artisti di strada affondano le loro radici nei jocular romani. L’impero è in crisi profonda, i teatri e i circhi chiudono le loro porte e agli angoli delle vie polverose del Foro, tra mercati, terme e templi votivi, i jocular ritrovano il bisogno della ribalta. Senza sipario, senza quinte, illuminati solo dall’occhio di bue dei raggi solari, all’imbrunire dei colori più caldi del tramonto e di una dissolvenza naturale che spegne i riflettori.Allora come adesso, trasportati dall’antica Roma al Medioevo, sui sagrati delle Chiese dopo le feste religiose. A Bologna tra i portici di un centro storico che diventa anche un riparo, e ne beneficia l’acustica, tra i soffitti a volta e il gioco delle travi in legno, testimoni del passaggio frettoloso della gente. Oggi Piazza Maggiore è un po’ “La Scala” dei buskers (dallo spagnolo buscar - cercare, arricchito dall’inglese to busk, che al cercare aggiunge il suo oggetto, la fortuna), ambitissima e spesso garanzia di una piccola folla che accerchia l’artista, come in un modellino di anfiteatro del passato. Gli intramontabili successi di Lucio Dalla, le Stelle di Broadway di Cesare Cremonini, le Emozioni di Lucio Battisti, John Lennon, la pace, le guerre, i diritti, la libertà. Federico Sola è uno di loro, in città lo conoscono tutti come Erick.
Ha una voce potente e roca, niente basi preregistrate, tutto in acustico con la chitarra tra cover e pezzi inediti, assoli e applausi. Colori e sonorità che ricordano il dolore di Rino Gaetano, suo concittadino di quella Calabria così aspra, tra montagne e altipiani che guardano ai due mari, in un saliscendi che si ritrova nelle armonie e nelle variazioni del giovane artista ventisettenne. «Sono originario di Mormanno, un piccolo paese di tremila anime immerso nel parco del Pollino - racconta Erik - e sono arrivato a Bologna a diciannove anni per inseguire la mia passione più grande: la musica». Una passione che lo accompagna da sempre, stimolata anche dalla presenza di un padre tastierista e dai ricordi d'infanzia tra le recite scolastiche e le manifestazioni locali. I suoi brani inediti affrontano i sentimenti, l'amore, i temi sociali e l'inquietudine per un mondo sempre più difficile. «Il pubblico della strada non è sempre attento - dice - ma la sfida è proprio questa. Per me è come una terapia, una grande palestra. Suonare nelle città è diventato sempre più difficile, è inutile nasconderlo. Spesso ci sono restrizioni che non ci permettono di fare questo lavoro in totale serenità. Ben vengano le regole e le norme che disciplinino il settore, purché siano pensate con criterio e cognizione.
A Bologna siamo in tantissimi e stiamo lavorando proprio per rendere più semplici e flessibili le procedure e le autorizzazioni». Oltre alle difficoltà burocratiche, Erick ci tiene a precisare che «le strade sono di tutti ed è inevitabile andare in contro sia al bello che al cattivo. Al di là di questo, fare busking è qualcosa che mi fa sentire estremamente vivo e, nonostante io canti da sempre, non immaginavo che un giorno la musica potesse diventare un progetto di vita». Un sogno che richiede sacrifici e impegno e a chi si domanda se di muisca di strada si possa vivere risponde che «sì, si può vivere. Anche se quello che io vorrei più di ogni altra cosa è fare arrivare la mia musica a più orecchie e cuori possibili. Non desidero nient'altro». E non a caso molti scelgono proprio l'Emilia-Romagna, che è una regione da sempre attenta all'espressione dell'arte e del talento. Ferrara, nel pieno dell'estate, ospita il Buskers Festival, una delle più importanti rassegne internazionali che dà spazio alle voci e alle proposte di chi il bisogno di esprimersi non lo reprime. Non vuole e non può reprimerlo.
Tra cover e omaggi al grande cantautorato nazionale e estero, l'ultimo singolo inedito di Erick, uscito la scorsa settimana, ha un titolo piuttosto indicativo. "Scottato", un brano di matrice acustica con una componente introspettiva che «parla della difficile comunicazione che a volte si viene a creare all'interno di una coppia, destinata a sciogliersi. E di quanto la mancanza di dialogo, spesso, possa farci sentire spaesati». La musica come catarsi dei sentimenti, insomma, della possibilità di comunicare la propria passione, il dolore, la disperazione e la speranza attraverso parole che si uniscono ad accordi e melodia e che sembrano diventare più facili, finalmente capaci di passare oltre il muro della timidezza e dell'insicurezza. La strada che diventa un luogo d'incontro, un momento di pausa tra lo sguardo distratto allo schermo dello smartphone e le cuffiette che isolano dal mondo esterno. La domenica mattina capita di vedere persone che passano per caso in piazza Maggiore, si fermano, mettono in pausa la loro musica digitale e si godono un'immagine e un suono reale. L'artista di strada è davvero come un atleta all'interno di una palestra. A New York, le stazioni della metropolitana sono un vero e proprio teatro sotterraneo. Per esibirsi bisogna superare una rigida selezione, quasi a dimostrazione che essere lì tra i rumori assordanti dei treni è più un punto d'arrivo che di partenza. Si sente il vero jazz e il sofferto blues più nelle umide gallerie bicentenarie della subway che negli esclusivi club di Midtown. Con la musica non si scherza, se mai ci fosse ancora qualche dubbio.