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Bologna dall'alto (foto Creative Commons)

Bologna dall'alto (foto Creative Commons)

 

In una città dove le immagini dei muri sfondati in via Don Minzoni sono ancora vivide, gli sfratti continuano a crescere: nel 2024 sono stati 635, di cui 164 nella sola Bologna e 471 nel resto della provincia. Numeri che riflettono un incremento del 10% rispetto al 2023, quando gli sfratti sono stati 574, 57 dei quali nell’area cittadini e 293 in provincia. Questa crescita coinvolge sia le situazioni di fine contratto (da 242 a 268) che di mancato pagamento del canone (da 332 a 367), tanto nel territorio del capoluogo quanto in provincia.

A lanciare l’allarme è Francesco Rienzi, segretario generale del Sunia di Bologna (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari). «Se una decina di anni fa era molto più raro, ora avere disdette di contratti da parte dei proprietari è la normalità, e avvengono per qualsiasi ragione. Ad esempio, perché ci deve abitare il figlio, perché vogliono venderlo, oppure perché ci vogliono speculare sopra, dove vengono richieste anche raddoppi di affitto».

A rimetterci è l’intero circuito economico e sociale bolognese. «Si tratta di un fenomeno che sta mettendo in crisi l’intero sistema di welfare su cui si fonda il sindacato», afferma il segretario. «Le aziende sono a corto di lavoratori perché Bologna e provincia richiedono affitti insostenibili, cosa che interessa anche le Asl, senza infermieri e con personali ridotti all’osso».

«Non ci sono categorie più o meno colpite, siamo tutti coinvolti allo stesso modo. Io ho visto disdette di contratti ai danni di ottantenni che risiedevano nello stesso immobile da quarant’anni come ne vedo ai danni di famiglie straniere, o italiane. Si può parlare, invece, di categorie che fanno più fatica di altre a trovare alternative, le quali includono sia cittadini italiani e stranieri», aggiunge Rienzi. Per coloro che subiscono gli sfratti, dunque, l’unica alternativa è occupare stabili abbandonati o dismessi. «Un comportamento che non è la strada giusta, perché non risolve il problema. Al contrario, l’occupazione mette a rischio le famiglie cacciate, che possono essere escluse da futuri bandi per eventuali case popolari».

A complicare le cose è il mancato sostegno da parte dello Stato, sia ai proprietari che agli inquilini. «Il grande assente - aggiunge Rienzi - è la politica nazionale. Il tanto paventato e tanto sbandierato "piano casa" ancora non c’è, e la legge di bilancio di quest’anno non ha rifinanziato il sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione. Inoltre, non c’è menzione sul recupero degli alloggi pubblici sfitti da mettere sul mercato e da affittare a canoni accessibili». Discorso diverso per la Regione, che, racconta Rienzi «sta lavorando per l’attivazione di una linea di credito con la Banca Europea per gli Investimenti, la quale ammonta a circa 300 milioni di euro, per il problema affitti. Anche il Comune dedicherà parte del suo bilancio per intervenire ove possibile, anche grazie alla nostra contrattazione».

Rienzi pensa che ci sia la speculazione dietro quegli improvvisi aumenti che impediscono a molti singoli o famiglie di continuare a pagare il canone di locazione. «Io se voglio posso anche chiedere 1.200 euro in periferia, perché non c'è corrispondenza tra quello che si affitta e il canone che viene chiesto. Serve una regolamentazione per calmierare la speculazione, altrimenti i costi cresceranno in tutte le aree della città metropolitana e della provincia».