osservatorio metropolitano

La presentazione dei dati dell'Osservatorio metropolitano (foto di Alberto Biondi) 

 
Il futuro industriale dell’Appennino bolognese è in bilico. A lanciare l’allarme è la Cgil presentando i nuovi dati dell’Osservatorio metropolitano sul lavoro. «Siamo di fronte al rischio di desertificazione produttiva dell’Appennino», avverte Michele Bulgarelli, segretario generale Cgil Bologna. «Ogni anno si perdono posti ben retribuiti nell’industria, sostituiti da lavoro più povero nel turismo o nel settore dei servizi. Sarà l’industria a salvare questo territorio, non il turismo». La manifattura resta il cuore produttivo dell’Appennino bolognese, ma perde colpi. Nel 2024 il settore occupa ancora il 31,4% della forza lavoro locale, una quota nettamente superiore alla media metropolitana, ma in cinque anni gli addetti sono scesi del 13,6%: da 4.660 a 4.027. Nello stesso periodo, invece, il turismo ha guadagnato terreno, con una crescita del 13% (da 1.404 a 1.587 occupati). A supporto della tesi di Bulgarelli ci sono gli stipendi del settore industriale. Considerando che la retribuzione media nel privato metropolitano è di 27.600 euro, nella manifattura sale a oltre 37.000, mentre nei settori in crescita come alloggio e ristorazione scende a poco più di 12.000 euro all’anno. 
A pesare sono le crisi aziendali che hanno colpito le principali realtà del territorio. «La manifattura in Appennino si trova in una delle peggiori condizioni dal dopoguerra. Il vero problema nasce dalla scomposizione di Saeco. Così sono andati persi 1.000 posti lavoro in montagna. Oggi siamo presenti in circa 79 aziende metalmeccaniche, quasi tutte, con 2.198 lavoratori: 904 lavoratori sono in cassa integrazione, il 41% dei metalmeccanici in Appennino. E la situazione è in netto peggioramento, con richieste da aziende che andavano anche benino», spiega Primo Sacchetti, di Fiom-Cgil. «La Demm (Ingranaggi) sono 12 anni che chiede cassa integrazione, su 119 lavorano in 30. È in crisi anche Metalcastello. Il progetto della Gaggio Tech si è rivelato fallimentare: dal primo ottobre è scattata la cassa integrazione per cessazione. Ora abbiamo un anno per trovare nuovo progetto industriale e salvare 100 lavoratori. Oggi la situazione è drammatica in Appennino. Non possiamo continuare a fare testimonianza e convegni», conclude Sacchetti.
«Serve una nuova reindustrializzazione dell'Appennino, una reindustrializzazione 5.0 collegata agli investimenti sul Tecnopolo: è evidente che non possiamo riprodurre quanto è stato fatto in passato, però abbiamo bisogno di riportare in quelle aree posti di lavoro con diritti, con buoni con buoni salari, con buoni stipendi. Le lotte dei lavoratori in montagna, da Caffitaly a Saga Coffee, hanno conquistato tempo, non possiamo sprecarlo», scandisce Bulgarelli, che chiede che anche la Legge regionale 14 per l'attrazione degli investimenti preveda che si premino con finanziamenti e sostegni economici le aziende che danno lavoro in Appennino.