Il libro

Paolo Nori

Paolo Nori (foto Ansa)

 

«I romanzi che non sembrano romanzi». Sono tra le cose che gli piacciono, confessa Paolo Nori nella sua ultima fatica, Chiudo la porta e urlo”, che il 3 luglio attende il verdetto finale del premio Strega. Ed ecco che ne scrive lui uno. Un lungo flusso di coscienza, con salti, divagazioni e ripetizioni, centellinato in tanti minuscoli paragrafi. Un prosimetro, dove la sua prosa incontra la poesia di Raffaello Baldini e, occasionalmente, gli amati autori russi. Un discorso sulla traduzione, per un capitolo intero. Insomma, un romanzo che non sembra tale. Che, più che raccontarci una storia, ci attraversa, riversando su di noi un canto d’amore. Per le due patrie dell’autore. L’una effettiva, Parma, l’altra solo spirituale, la Russia. Per le loro lingue e le loro letterature. E, su tutti, per Baldini, per le sue poesie che sono «così belle, non sembrano neanche delle poesie», come dice una rapita ascoltatrice. Scrigni in cui si condensa la bellezza disarmante della quotidianità di tutti noi. Incastonati nel discorrere di Nori, che ora ci tiene incollati, ora ci costringe a fermarci. Perché gli aneddoti divertenti si mescolano a squarci di dramma, raccontati sempre con leggerezza e ironia, dove la consapevolezza dei propri limiti diventa il terreno su cui combatterli, sospesi tra la rassegnazione di fronte all’impossibilità di essere fino in fondo come si vorrebbe – puntuali nelle scadenze, pronti per la maratona – e la spinta a combattere contro la vera morte, in agguato all’ombra di tutte le nostre giornate, cioè il delegare sempre al domani la nostra vita. Nella serena rivendicazione di essere «coglioni».

 

La recensione è tratta dal Quindici n. 6 del 25 giugno 2025