Medio Oriente

Foto Ansa 

 

Sul ceasefire annunciato la scorsa notte dal presidente Donald Trump è cauta Luciana Borsatti, giornalista e storica corrispondente Ansa dall’Iran, che conosce bene le complessità della regione: «Sia Teheran che Trump hanno tutto l'interesse a fermare la guerra, entrambi hanno dimostrato le loro capacità belliche e anche l'attacco “telefonato” alla base Usa in Qatar è venuto incontro alla necessità dell'Iran di tenere il punto». Ora tutto dipende da Israele, aggiunge Borsatti, e soprattutto da quanto sia reale e concreta la prospettiva del regime change come vero obiettivo della guerra: uno scenario non escluso da Trump, di cui parlano apertamente gli oppositori all’estero, ma allo stesso tempo non scontato. Una cosa è certa: «Teheran stavolta starà molto attenta a non cadere nell'ennesima trappola». Mentre le bombe attraversano lo spazio aereo tra Israele e la Repubblica Islamica, uccidendo civili da entrambi i lati, e con un "cessate il fuoco" tutto da verificare, la giornalista entra nelle pieghe di una regione che rischia l’implosione, decostruendo i pregiudizi degli occhi occidentali, molto spesso deformanti.

 

L’aggressione israeliana nasce dalla falsa premessa che l’Iran si stia dotando di un’arma nucleare. «In realtà – è il punto di Borsatti – non ci sono prove che la Repubblica stia lavorando sistematicamente a un'arma nucleare, ha soltanto arricchito l’uranio. Chi non aderisce al trattato internazionale sul nucleare è proprio Israele, che ha almeno un centinaio di ordigni nucleari». Ma perché Teheran insiste tanto nel voler mantenere una propria capacità di arricchimento dell’uranio? Tante le risposte, «dalla rivendicazione del diritto all’arricchimento garantito dal Trattato di non proliferazione, alla volontà di tenersi le mani libere per costruire una capacità di deterrenza nucleare, visto che i fatti hanno dimostrato che dell’interlocutore statunitense e dei suoi partner (in primis il bellicoso Israele, e poi anche gli europei) non ci si può fidare. Non si può escludere che l’arricchimento dell’uranio fosse concepito come leva negoziale al tavolo delle trattative». Che la Repubblica Islamica avesse già deciso di dotarsi di un’arma atomica resta un sospetto, ammette Borsatti,  ma come tale non giustifica il ricorso alla guerra. L’intervento degli Stati Uniti ha superato l’ennesima linea rossa, e l’ha svelato agli occhi dell’Iran come una potenza di cui non ci si può fidare. «Trump si è comportato come un bullo, e come al solito gli Stati Uniti si interfacciano con un paese che non conoscono proprio, e di cui sottovalutano il senso di identità».  

 

 

Foto gentilmente concessa dall'intervistata

 

Lontano e incompreso, l’Iran sembra essere il nemico perfetto della narrazione occidentale sul Medio Oriente. Ma quanto di questa immagine corrisponde alla realtà e quanto invece è propaganda? «Se apriamo i giornali oggi - sostiene Borsatti - c’è un’asimmetria nel racconto del conflitto. La Repubblica islamica sembra essere l’aggressore, invece che l’aggredito, e questo perché c’è un pregiudizio nostro nei confronti dell’Iran. Mentre in tutti questi decenni Teheran è stato fabbricato come “il nemico”, raramente si è dato spazio alle sue voci autentiche. Il pregiudizio è anche nei confronti delle voci ufficiali, e ci si dimentica che ai vertici della Repubblica Islamica ci sono delle persone capaci benissimo di parlare con il pubblico occidentale e di trattare con le potenze occidentali». Come dimostra l’accordo sul nucleare nel 2015, e la collaborazione che il loro ex ministro degli Esteri Zarif e ora l'attuale ministro Araghchi hanno dimostrato. Una guerra mediatica vera e propria, a detta dell’ex giornalista Ansa, cominciata ben prima dell’attacco di due settimane fa, fatta di semplificazioni e di silenzi selettivi. In questa narrazione asimmetrica, «l’Iran è sempre il nemico, e magari pure è vero che ha minacciato qualche volta, ma chi agisce da due anni a questa parte è sempre Israele, verso cui abbiamo sempre un pregiudizio positivo perché è l'unica democrazia del Medio Oriente. Siamo intrisi di propaganda americana e israeliana, ma dobbiamo guardare ai fatti. I fatti raccontano di una diplomazia iraniana ancora impegnata a fare appello all’Onu e al diritto internazionale, ma che sembra sempre più destinata, nella spirale della guerra, a essere messa all'angolo».