Costume

Gli ospiti della serata, al centro Beatrice Buscaroli con a fianco il direttore dell'Hotel Majestic, Tiberio Biondi (foto di Edoardo Cassanelli)
Chi era Napoleone? Chi era l’uomo e il condottiero che tenne in pugno l’Europa? Risposta: «Era un uomo bellissimo, per niente basso, amava i gatti, non beveva e odiava stare a tavola». Esordisce così Beatrice Buscaroli, docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Bologna, alla presentazione del suo libro “Napoleone a Bologna” (Minerva) ieri sera al Grand Hotel Majestic “già Baglioni”. Una chiacchierata in compagnia del giornalista del “Resto del Carlino” Beppe Boni.
Con questo titolo si è arrivati ormai alla nona edizione della collana “I libri della buonanotte”, storie su grandi personaggi del passato che hanno avuto a che fare con la Dotta, poche pagine ideate per allietare e incuriosire i clienti, italiani e internazionali, del prestigioso albergo a 5 stelle.
«È stato un grande statista, il più grande militare della storia del mondo, al pari di Cesare, Alessandro Magno o Solimano. Gli ideali di Liberté, Égalité, Fraternité sono stati esportati grazie a lui», prosegue Buscaroli nella sua ricostruzione del Bonaparte “di stanza” a Bologna. E non potevano mancare altri aneddoti gustosi sul suo carattere. «Dormiva poco, non apprezzava la mondanità e mangiava con le mani. L’usanza di trafugare opere ai nemici era già in uso ai tempi dei sumeri. Diciamo che Napoleone ha esagerato con la mole!».
Un uomo che non amava stare troppo tempo a tavola a mangiare. Già si capisce che non possedeva lo spirito del vero bolognese, ma questo non vuol dire che non rimase ammaliato dalla città e dal suo popolo.
Due volte venne a Bologna, una prima nel 1796, durante la Campagna d’Italia, per strapparla allo Stato della Chiesa, e di nuovo nel 1805, come Imperatore dei francesi (autoproclamatosi tale) e Re d’Italia (sul suo capo venne posata la corona di ferro che indossarono sia Federico Barbarossa che Carlo Magno). Realizzò riforme di grande impatto sociale, dal taglio di privilegi agli aristocratici all’aiuto ai poveri, dal portare l’ordine amministrativo con dazi e tasse a opere di urbanizzazione. Trovò una città devastata da malattie e carestia e la risollevò. «Non un populismo dell’ultima ora», precisa Buscaroli. Un comportamento ripagato dalla benevolenza e dal rispetto dei bolognesi. Un fatto che, come sottolinea sempre la professoressa, riflette il loro sentimento politico «ondivago» (furono prima sostenitori dello Stato Pontificio, poi di Bonaparte, più tardi nel tempo divennero fascistissimi con Mussolini e infine fieri sostenitori dei partigiani e della sinistra).
Provava una tale ammirazione per Bologna da volerla come capitale della Repubblica Cispadana, ma dovette cedere alle insistenze dei milanesi e fare delle concessioni. Nonostante ciò, i bolognesi non ritirarono la loro simpatia verso di lui. «Il suo bicorno gli ricordava la tipica raviola».
Amato dai bolognesi, odiato dagli inglesi. Molte malelingue vennero fatte circolare proprio da questi suoi acerrimi nemici. Per esempio gli attribuirono spesso avventure “di letto” insolite. Amava invece moltissimo Josephine, la sua prima moglie, una creola proveniente dalla Martinica. «Una donna simpatica. Una vera arrampicatrice sociale. Oggi si direbbe una clandestina irregolare. Era conosciuta come “la bella creola”. Napoleone aveva sempre avuto una predilezione per lei», dice Buscaroli, avviandosi verso la conclusione della presentazione.
Non bisogna dimenticare infine il declino, inevitabile, del grande generale: la Campagna di Russia, la disfatta a Waterloo, l’esilio e la morte ai confini del mondo, su un’isoletta sperduta nell’Atlantico meridionale, Sant’Elena. Laggiù, solo e ingrassato, venne dimenticato.
Ora lo spirito folle, spregiudicato, temerario e visionario di Napoleone vive nei libri, ma si può dire che viva impresso anche nelle strade di Bologna, che percorreva magari pensando al suo impero, ai suoi mille progetti, oppure a un succulento pollo alla Marengo, un piatto che adorava, perché il pollo era l’alimento che più gli ricordava la cucina della nonna, in Corsica.